Credits: Claudio Bianchi "Fioriture virtuali"

Mi accendo una sigaretta e penso.

A volte penso troppo. Mi lascio stordire dal movimento inquieto della fantasia, attraversando insieme le primavere di aprile e gli inverni di dicembre, quando è la pioggia a nutrire il fiore, mentre quello si prepara a sbocciare per farci sapere che il cambiamento è in atto. Perché esiste sempre una risposta logica in natura. Un’occasione di rinnovamento.

Prima di inciampare sulla materia delle cose che mi riportano alla realtà, volo sulle possibilità infinite. 

Atterro a Neverland e ricomincio. Il mio posto è lì, dove nessuno è ancora arrivato. Mi abbandono a questo pensiero perché ne ho bisogno.

A volte a riconnettermi alla realtà è il non sentirsi nel contesto giusto.

L’idea di mondo che ho, non contempla la violenza e tanto altro. Allora penso a quante innovazioni ci avrebbero potuto aiutare in questo senso. La tecnologia, in termini di progresso, dovrebbe servire a diventare migliori.

 

Facilitare non basta, se dentro non è cambiato nulla. Così con quel pizzico di follia che mi albeggia in testa, sono sempre pronta a schierarmi, a partecipare. A rischiare. Non solo per una questione morale o più spirituale ma per la ricerca del benessere. Che è innanzitutto un affare intimo, ma che una volta compresi i meccanismi che lo innescano e quindi, la fedeltà al proprio io anche quando non è standardizzato ai più, diventa un beneficio collettivo.

 

Chi starebbe bene in compagnia di una persona frustrata e triste?

Il benessere è contagioso. Per fortuna…

 

Qualche giorno fa ho letto un articolo sui social secondo cui genetica e nanotecnologia potrebbero accelerare, superando le capacità umane, per dare il via all’epoca della “singolarità” ovvero il momento di fusione tra intelligenza umana e artificiale.

Ma siamo già a scenari fantascientifici.

Se i più scettici gridano ad un ritorno al primitivismo, qualche tecno-devoto sta già assaporando l’idea di un futuro immortale. Nel frattempo l'intelligenza artificiale si è già presa anche la nostra. 

Così un bot potrebbe toglierci perfino il brivido della morte. E chissà che la graduale perdita di legame tra uomo e costola ci faccia finire come un pezzetto di cotoletta, che si nasconde dietro una panatura dorata ma che poi fa la stessa fine del suo corazziere.

Allora penso…Il tentativo di sottrarci a tutti i costi al dolore fisico ed emotivo non vi fa paura?

Che sapore avrebbe il piacere senza nessuno ostacolo?

Che fine farebbero il pathos e la sua potenza evocativa?

 

Questo aspetto mi spaventa molto.

Pur condividendo e gioendo dei molteplici vantaggi che l’Hi-tec sta portando in molti aspetti importanti come la medicina, non posso accettare che la creatività e l’intuizione che ci fanno sentire veramente vivi, possano spegnersi dentro un routinario godimento. Dove il piacere è piatto, senza che il suo apice sia mai raggiunto.

Non posso immaginarmi senza il fremito per qualcosa che è in arrivo. Senza quella pelle d’oca che ti accende tutti i sensi, prima di esplodere in un turbamento intenso. Viscerale.

 

Penso all’uomo del futuro e a tutte le ricerche che mancano sotto il profilo relazionale, quello che ha a che fare con l’essenza più profonda di noi.

Credo che non siamo pronti. Che forse siamo allo stadio primordiale.

Allora c’è bisogno di spostare l’attenzione su altri punti di forza.

 

Che la felicità si misura con le cose astratte.

 

Solo se arriverà questo tipo di rinnovamento, l’uomo si avvicinerà al concetto di cambiamento che la natura ha sempre sostenuto, mettendo alla prova quel piccolo esploratore che è l’essere umano.

Piccolo, piccolo.

Appena nato, sotto l’egida del suo ego.

E mentre taglia il cordone dall’inutilità dell’effimero, vede per la prima volta.

Vola sulle possibilità infinite.

 

Gattona, cade e ricomincia.