Nell’anno del Giubileo, la morte di Francesco è un segno.
E mentre qualcuno si batte il petto chiedendo perdono a Dio, l’umanità si sfilaccia tra guerre, solitudine e miti di cristallo.
Il papa della pace ci ha lasciato a braccia aperte.
Proprio ora, quando nei corridoi del potere, gli assassini si sfidano col gioco delle bombe, facendo già tremare tutta la terra.
Senza alcun tormento. Senza lacrime.
Così, pure la cenere che resta è diventata rosso sangue. Per non dimenticare…
Con la scomparsa di Francesco, il mondo si è fermato. Unito solo nell’ascolto di quel grido di speranza, la cui ombra è ancora materia viva.
Quello che ereditiamo da lui, non è una serie di ideologie blindate, ma un vangelo vivo, che abbraccia la polvere delle periferie, piuttosto che l’oro delle cattedrali.
Non il linguaggio ieratico del potere ecclesiastico, ma quello ruvido della gente comune. Non la ricerca della cura, ma la scelta di smascherare “l’anestesia morale” come la peggiore delle malattie.
Allora Francesco c’è e la sua presenza consola, interroga, disturba.
Resta. Nutre. Cambia.
Il Papa ci ha messo nelle mani una rivoluzione da portare avanti:
“Chi sono io per giudicare?”
Insegnando all’uomo una nuova grammatica dell'accoglienza. Dove tutti possono essere ugualmente ammessi. Dove l’accettazione passa per la fede stessa.
Perché nella Chiesa c'è spazio per tutti…
Di lui ricorderemo l’uomo che ha saputo chinarsi per lavare i piedi del mondo.
Che ha restituito valore alla dignità umana.
Che si è opposto agli abusi della Chiesa, riconoscendo nel dolore, le aspre colpe.
Che ha umanizzato la missione canonica, poiché il fine non è convertire, ma accompagnare, dialogare.
Imparare, finalmente.
Si parlerà del pastore dei volti, che sapeva chiamare per nome ogni pecora smarrita.
Che da solo ha pregato nei silenzi di piazza San Pietro, quando il Covid sembrava il più terribile dei mali.
Il dopo Francesco resta un’incognita.
L'ipotesi meno romantica è che la tentazione di una restaurazione possa essere forte. Ma sarebbe rinnegare il mondo che Francesco ha visto e amato. Un mondo complesso, ferito, pieno di contraddizioni. Un mondo che il papa voleva salvare.
Un mondo POP. Che si fa poesia universale, canto della città, massa per la massa. Cambiamento.
Quando il distacco dalla tradizione è necessario a muovere la rivoluzione:
“Chi sono io per giudicare?”
per mantenere aperte le braccia
per vivere, amare, sognare, credere
Allora Francesco c’è. Resta. Nutre. Cambia
“Non abbiate paura!”