Claudio Bianchi, "Meteoriti nel cuore"

In questa calda estate, in cui tutti corrono a baciare l’onda più alta, mi affanno per rimettere a posto pensieri spettinati e cassetti ancora vuoti. Nella stagione della vacanza ogni cosa prende un tempo futuro. I problemi, le preoccupazioni. Perfino la felicità è a scadenza.

Mentre la frivolezza d’Agosto, incantata e mortale, irrompe con i suoi fulminanti raggi, affronto il più grande imprevisto che mi sia mai accaduto. Una prepotente rivoluzione mi è scoppiata dentro, senza che possa reprimerla, evitando che anch’io ci rimetta le penne.

Forse ne avevo bisogno, ma non l’ho cercata. È stata lei a trovarmi. Con una violenza che mi ha spiazzata, prima di disarmarmi. Imbarazzando la mia intelligenza e la volitiva forza che mi hanno accompagnato per tutta la vita, come porti sicuri.

Non mi succede spesso di essere impreparata, eppure non era pronta, ubriacata anch’io dal vezzo estivo e dai suoi fiocchi zafferano.

Il colpo ha battuto talmente in  profondità che non riesco a immaginare quanti schiaffi abbia ancora nascosti tra i gomitoli delle sue maniche. Beffarde. Insidiose.

E proprio quando mi fermo per  accoglierla, si ripresenta più offensiva, attaccando all’improvviso. Di nuovo.

Così mi osservo da fuori e vedo tutta la mia fragilità. Lei.

La caducità che ho sempre nascosto, soffocato, evitato.

Me la prendo in faccia come l’eco di un chiodo appuntito. Che fa male per la botta, ma che il dolore più grande te lo lascia come pegno.

Mi ha tatuato una grande macchia frastagliata, che promette di diffondersi in fretta, mentre l’afferra un frettoloso affanno di ricomporsi.

Non ce la fa e questa disordinata inquietudine che mi assale, senza che abbia ben capito come collocarla, battezza l’acqua di nuove consapevolezze.

Smontando uno ad uno gli infiniti tasselli costruiti come cinta muraria.

Allora il tempo è il dono che ho scoperto.

Ho chiuso talmente tante porte che nemmeno il vento è più riuscito ad aprirle..

Certi inverni ti gelano dentro,  “frizzando” aspettative che non si trasformano mai in reali opportunità. Perché per costruire è necessario disegnare una strada. Lanciare il primo sasso.

Allora tutte quelle giustificazioni,  ingrassate dalle nuove sorelle,   hanno raffreddato anche la più epidemica speranza.

Ma quella scalcia forte per allargarsi nello spazio. Ti buca lo stomaco per farti sapere che sarà lei ad accompagnare la fine di tutto.

Come una goccia cinese batte lenta nella sua inesorabile vendetta.

Perché certi salti, anche se fanno paura, sono inevitabili.

Alcuni alzano la temperatura alla sofferenza solo per indicarti la verità.

Altri sono di passaggio.

Quasi mai si può tornare indietro.

In questo ultimo inverno non tengo il conto delle spine al dito  ma ho sciolto le trecce per infilare il naso nel cielo.

Mentre le campane suonano festa, le foglie bruciate spariscono tra i pugni della terra.

Mi osservo da fuori e vedo tutta la mia fragilità.

Mi pizzicano gli occhi ma scelgo di abbracciare il suo impetuoso bagliore.

E così,

nemmeno il Sole si nasconde più.