Una commovente storia di sopravvivenza e vendetta, immersa in paesaggi suggestivi. Un film catartico che cattura l’attenzione e tiene col fiato sospeso, nonostante la durata.

La pellicola è firmata dal regista Alejandro González Iñárritu, che nel 2014 vinceva l’Oscar per la regia di Birdman o L'imprevedibile virtù dell'ignoranza. The Revenant è tratto dall’omonimo romanzo di Michael Punke.

Questa volta la storia si svolge nel 1823 e racconta di una spedizione per raccogliere pelli e pellicce.

Hugh Glass (Leonardo Di Caprio) viene assunto come guida, essendo un trapper molto esperto del luogo. Ma durante una battuta di caccia Hugh viene aggredito e ferito gravemente da un grizzly.

Il capitano Henry (Domhnall Gleeson), dopo avergli prestato un primo soccorso lo affida a due cacciatori, John Fitzgerald (Tom Hardy) e il giovane Bridger (Will Poulter). Promette loro una ricompensa in denaro, per poter concedere a Hugh quantomeno una degna sepoltura, viste le sue gravi condizioni. Le possibilità che sopravviva sembrano essere nulle, ma i risvolti saranno inaspettati.

La regia di Iñárritu non delude: i suoi piani sequenza ci portano nel vivo dell’azione, come se fossimo dentro una realtà virtuale. Soprattutto nelle sequenze iniziali in cui gli indiani Arikara attaccano all’improvviso Henry e i suoi uomini. La macchina da presa si sposta da un cacciatore all’altro, seguendone le azioni fino a quando viene colpito, per poi passare a quello successivo. La sequenza dell’attacco di Glass da parte dell’orso è una delle più belle, ma soprattutto assolutamente realistica. Dall’inizio alla fine abbiamo l’impressione che sia uno scontro reale, quasi fosse un documentario. Ci sono spesso dei dettagli del paesaggio, della neve oppure dei campi lunghi, come per farci prendere una pausa dall’azione. Non mancano le sequenze oniriche, legate agli indiani Pawnee. Hugh ha avuto una relazione con una di loro e spesso riesce a sentire la sua voce, o addirittura vederla fluttuare, in preda ad allucinazioni causate dal dolore. Questa scena ci ricorda la levitazione di Riggan Thomson (Michael Keaton) in Birdman. Così la storia è divisa tra le vicende di Hugh che cerca di sopravvivere per poter vendicare il figlio ucciso da Fitzgerald, gli indiani Arikara e il suo capo tribù in cerca di sua figlia e gli uomini della spedizione. Il film, apparentemente lento, in realtà segue più vicende contemporaneamente e le alterna in modo coerente. Una menzione particolare a Emmanuel Lubezki per la sua fotografia. I luoghi sono quasi mistici e lui ce li restituisce esaltandone i particolari, spesso con tonalità di chiaro-scuro. La sua bravura è sottolineata dal fatto che tutto il film è stato girato con la luce naturale.

Leonardo Di Caprio esegue un’interpretazione eccellente, ma la scarsità di battute non gli rende giustizia. Il suo impegno nel trasmettere il dolore in silenzio, nell’imparare due lingue e mangiare carne cruda, forse questa volta verrà premiato con l’agognato Oscar. Ma lo avrebbe meritato per film come The Wolf of Wall Street o Django, che gli hanno permesso di esprimersi al meglio, con personaggi più poliedrici e sicuramente con più sfaccettature. Tom Hardy non è da meno e il suo ruolo gli permette di spaziare mostrando più sfumature del personaggio. Infatti, Fitzgerald è l’antagonista che ha sofferto per mano degli indiani, ma è schivo, spietato e senza mezze misure.

Una storia che è stata già raccontata in passato (ad esempio nel film Uomo bianco va col tuo Dio, 1971, diretto da Richard C. Sarafian), ma che vale la pena di vedere. Assolutamente consigliato.