«Marcello come here!»: il 5 febbraio del 1960,  usciva il film che avrebbe segnato la storia della cinematografia italiana. 

Federico Fellini diventava artista del mondo. Anche se oggi La dolce vita è un classico, che tutti almeno una volta dovrebbero vedere, all’epoca venne accolto molto male, a detta di molti era: un degrado impietoso di Roma e, di conseguenza, dell'Italia. Il capolavoro di Fellini, come molti altri classici italiani, ormai è un cardine della cultura popolare. Tutti riconoscono  immagini  cult come quella di Anita Ekberg che, di notte, entra nella fontana di Trevi, la confusione dei paparazzi  e i locali notturni in via Veneto, la notte passata nei palazzi antichi di Roma, o lo sguardo giudice del “mostro” pescato sulla spiaggia.

Al centro di questa giostra onirica, troviamo Marcello Rubini (Marcello Mastroianni), scrittore in crisi, affascinante e affascinato da quello che Roma offre, tra amori e tradimenti, tra vita di lavoro e di perdizione.

Nonostante questa monumentale pellicola compia 60 anni, trova la sua bellezza proprio nel suo essere ancora profondamente attuale. La sua struttura, suddivisa in episodi, gradualmente ci descrive la discesa del giornalista verso l’abisso di quella che è rappresentata come dolce vita, fatta di piaceri ma anche di compromessi, che lentamente inquinano l’iniziale ingenuità del protagonista. Il visionario Fellini ci ha anticipato una molto attuale epoca di fake news e di commistione tra cronache e gossip, oltre che di crisi delle elité sociali e culturali, delle quali il regista firma decadenti rituali aristocratici, al limite del patetico.

Tra pratica realtà e atmosfere surreali, seguiamo Marcello lasciarsi incantare da una diva del cinema americano, perdersi nei divertimenti della vita mondana, fino a smarrirsi definitivamente dopo la morte del suo migliore amico, l'intellettuale Steiner. L’ultimo episodio del film ci mostra il protagonista partecipare ad una festa orgiastica in una villa sul mare. Marcello completamente ubriaco e corrotto dai divertimenti aristocratici, non ha più freni inibitori:  vive l'abisso più profondo della sua vita di perdizione. La mattina seguente, tutti i partecipanti della festa si ritrovano in riva al mare, ad osservare un incredibile mostro marino pescato morto.

Gli occhi neri e inespressivi del mostro colpiscono lo scrittore, che si sente giudicato e pronuncia la famosa frase: “E questo insiste a guardare”; l’esclamazione è un possibile riferimento al filosofo Nietzsche, secondo il quale: “Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te”. Marcello guardando negli occhi di quell’animale, si riconosce: è diventato lui stesso quel mostro marino e sa di esserlo diventato. Un messaggio, quello del film, forte e anticipatore, nonché perfettamente inserito nel decennio del boom economico e della bella, più che dolce, vita.