Lentamente , senza quasi accorgercene, Facebook, Twitter, Instagram, stanno cambiando non solo il nostro modo di comunicare, ma anche quello di conservare la memoria dei momenti che vogliamo custodire.
Per un nativo digitale tutto questo è sostanzialmente scontato, ma per coloro che non appartengono alla generazione Z una cartolina spedita da lontano da una persona cara, una vecchia foto sbiadita dal tempo, conservano un loro fascino romantico. Si tratta di oggetti che possono assumere un significato importante, possiedono un “calore” che si può desiderare di trasmettere come eredità ai figli per memoria, testimonianza o, più semplicemente, come frammento di sè.
Nel tempo, quando le proprie radici ci hanno lasciato per la gioia eterna, si può guardare questi oggetti in maniera nuova, con occhi diversi, attraverso il filtro del proprio vissuto. Questa materia può allora prendere una forma differente e trasformarsi in qualcosa di inedito fatto di scorci, di paesaggi, e di altro ancora, che sono tagliati ed uniti in maniera particolare dalle mani dell’artista. Sono gli oggetti stessi a spingere all’azione vivificando l’opera e tessendo un sottile, invisibile filo, fra il passato ed il presente che diventano un tutt’uno. E’ questo lo sguardo femminile, gioioso, forte e delicato nello stesso tempo, delle opere di Beatrice Talamo, visitabili nella mostra intitolata. “Il mio spazio, il mio tempo”. Essa si tiene nei locali dell’Istituto Portoghese di S. Antonio a Roma e gode dell’alto patrocinio dell’Ambasciatore del Portogallo presso la Santa Sede Dott. Antonio De Almeida Lima.
Nel corso del vernissage l’artista ci ha confidato che: “come le note e i suoni si fanno altro e diventano canti e musiche nuove, così l’unica possibilità per me è prendere pezzi della mia storia, della nostra eredità e farla parlare: darle una voce nuova con il mio colore, con le foglie ed i fiori che cerco di attaccare senza violenza. E ancora apporvi parole e versi, quelli sì: tutti miei. Nella mia geografia dell’anima il legno di risonanza è materiale adatto ai versi. Come se, una volta scritti lì, potessero reinventare l’eco delle mie parole nello spazio, stavolta non solo mio”. Durante la stessa occasione il curatore della mostra, il Prof. Francisco de Almeida Dias dell’Università della Tuscia, ci ha rivelato che Beatrice Talamo “in qualche maniera ci propone un viaggio libero, in un universo altro. Tale caratteristica mi fa pensare a quanto ci sia in comune tra l’arte di Beatrice Talamo e l’antica e fondatrice tradizione di S. Antonio dei Portoghesi. Spazio lusitano, anch’esso ritagliato alla città di Roma; tempo spirituale dei pellegrini che, nei secoli, attraversavano l’Europa, incontro al punto cardine della loro fede e qui, in questa chiesa ed ospedale della propria Nazione, trovavano una sospensione del tempo reale. E, in questo sineddochico abbraccio che unisce la grande “matria” Roma alla figlia Lusitania, ecco l’accoglienza, sotto il segno della quale è nato Sant’ Antonio dei Portoghesi nel Quattrocento. E, nel sublime, nella qualità artistica di questo abbraccio, ecco la memoria della chiesa nazionale dei portoghesi, nel centro religioso ma anche artistico del mondo, testimone del passaggio dei grandi tra i grandi (Vanvitelli, della Valle, Canova). Entrate dal portale accanto e meravigliatevi del nostro pantheon nazionale che è, più che lusitano, un prezioso repertorio dell’arte romana tra Seicento ed Ottocento. L’arte di Beatrice Talamo si trova, dunque, qui in perfetta armonia: due spazi ritagliati in un tempo, due tempi ritagliati in uno spazio”. La mostra è visitabile fino al 6 aprile, dal lunedì al sabato, dalle 17 alle 20.
(Nella foto l'artista Beatrice Talamo con il curatore della mostra il Prof. Francisco de Almeida Dias)