Sono passati appena tre mesi dallo scorso 10 ottobre 2015.

Data della costituzione in Associazione di Salvaiciclisti-Roma, 90 giorni e poco più in cui la stessa, sorprendendo anche i più ottimisti tra i suoi promotori e fondatori, ha abbandonato lo stato embrionale tipico dei primi tempi di vita di ogni forma aggregativa e si è affermata come una realtà consistente nel quadro ampio dell’associazionismo cittadino, titolare di una forte soggettività con cui d’ora in poi le istituzioni capitoline dovranno ‘fare i conti’, e da cui le stesse non potranno prescindere nell’ambito delle decisioni immediate, oltre che nella programmazione a medio e lungo termine, di chiara natura politica in materia di mobilità cittadina.

La forza ed il peso che l’Associazione ha raggiunto in così poco tempo, o meglio che ha letteralmente guadagnato sul campo, hanno avuto plastica esemplificazione nella serata di mercoledì 13 gennaio durante la prima Assemblea ordinaria del 2016, forza e peso che si sono sostanziati innanzi tutto nei numeri: dapprima nel numero di partecipanti, circa ottanta soci, un dato non irrilevante se centrato e contestualizzato nell’attuale momento storico caratterizzato dalla quasi totale apatia del corpo civico del Paese nei confronti della partecipazione alla cosa pubblica, oltre che dal costante scollamento che giorno dopo giorno si registra tra cittadini ed istituzioni rappresentative di ogni grado e livello, e capace di rendere pari ad un incontro tra ‘quattro amici al bar’ le assemblee ordinarie delle grandi associazioni presenti su tutto il territorio nazionale; altro numero che da la misura della forza di Salvaiciclisti-Roma è quello relativo ai tesserati, oltre duecentocinquanta tessere effettive, non fittizie, staccate in 90 giorni, non a seguito di una ‘campagna abbonamenti’ organizzata, ma come risultato del semplice passaparola, aiutato è vero anche dai cosiddetti social-media, ma che ha trovato, e trova, propulsione e stimolo nella condivisione di una idea di città diversa da quella che viviamo ogni giorno, una idea di città vicina agli standard delle metropoli europee, in cui vengono proposte, e soprattutto attuate, politiche volte alla promozione della mobilità sostenibile, alternativa , o meglio alla mobilità integrata: l’unica modalità in grado di liberare la città dal giogo del traffico privato e dalle sue deleterie conseguenze. Ma Salvaiciclisti-Roma, come si diceva, ha guadagnato i suoi galloni sul campo soprattutto con le iniziative messe in atto in questa prima parte della sua esistenza: esperienze ed iniziative che sono state ricordate nella loro successione cronologica, partendo dallo smascheramento, agli inizi di dicembre 2015, del maldestro tentativo messo in atto da un tal Senatore, di istituire, in sede di revisione del Codice della Strada, l’obbligatorietà di bollo e targa per le biciclette, giustificando il tutto con la vaga esigenza della tutela e della sicurezza dei ciclisti stessi.

Ma i ciclisti sanno bene che la sicurezza non si tutela con bollo e targa, e SicRoma diventa megafono della verità lanciando immediatamente un tweetstorm che in pochi minuti diventa trend nazionale oltre che battuta d’arresto per lo zelante senatore democratico, che deve mestamente ritornare sui suoi passi, abbandonando così, almeno su questo punto, il progetto di riforma del Codice della Strada. È il momento poi di #OccupyAppiaAntica, e cioè la gioiosa domenica (che in verità ha conosciuto anche momenti di tensione) in cui i ciclisti urbani di Roma hanno sottratto la Regina Viarum, e cioè quel museo a cielo aperto che è Via Appia Antica, alla quotidiana violenza che una parte di essa subisce dalle ruote motorizzate, in barba a ben due ordinanze capitoline datate 1997 che la vorrebbero isola pedonale nei giorni festivi, ma che la cialtronaggine di molti nostri concittadini, associata all’ignavia delle istituzioni preposte al controllo dell’applicazione di tali delibere, fanno si che tale semplice esempio di civiltà, oltre che tangibile forma di rispetto per la storia millenaria dell’Urbe, sia ancora compresa nella categoria ‘buoni propositi’e non tra le cose realizzate.

Una giornata che ha cmq avuto i suoi effetti concreti, visto che dopo anni di oblio la questione è tornata ad essere argomento di cronaca con la proposta, condivisibile o meno, avanzata dal Comandante della Polizia Municipale capitolina di istituire una sorta di ZTL in stile San Lorenzo o Trastevere. Arriviamo infine agli ultimi giorni del 2015, alle ore ‘dell’emergenza ambientale’ che ha interessato le grandi città italiane, prime fra tutte Milano Roma e Torino. Un dicembre dalle temperature eccessivamente miti, che associate all’assenza di pioggia - l’ultima giornata di pioggia degna di esser ricordata come tale su Roma pare sia stata proprio il 10/10 - hanno reso le nostre città ostaggio di una cappa di smog e polveri sottili tanto evidenti, persino ad occhio nudo, quanto deleterie per la salute di tutti. Diverse le cause che hanno prodotto tale stato di fatto, si può partire dal global warming, passando per i vecchi impianti di riscaldamento condominiale, per poi arrivare inevitabilmente ad un ‘agente primario dell’inquinamento’  che, peraltro, rappresenta uno dei tratti costanti di tutte le crisi ambientali che abbiamo visto negli ultimi anni, e cioè l’eccessivo numero di automobili private presenti nelle grandi città, e soprattutto l’assenza di politiche volte alla riduzione del parco auto circolante, magari attraverso il potenziamento della funzionalità del trasporto pubblico. 71 auto ogni 100 abitanti, il 66% dei cittadini che sceglie di spostarsi in macchina, contro il 59% in Italia e il 35% in Europa, 3 giorni l’anno persi nel traffico, una rete infrastrutturale ed un parco mezzi antico e per nulla funzionale per quanto riguarda il  tpl , è il quadro, deprimente, della Capitale delineato nel 2014 dal Rapporto Aci «Muoversi meglio in città per muovere l’Italia»: bastano 30 secondi di riflessione per concludere che se non si arriva ad un risoluto rifiuto di tale status quo, la crisi del dicembre 2015 si riproporrà nel febbraio 2016, e poi in aprile e poi in giugno e via dicendo. Le stesse misure adottate dai governi delle città, blocco del traffico, targhe alterne ecc, che hanno cercato di far fronte alla rinnovata emergenza si sono rivelate non solo insufficienti ma addirittura irrilevanti, tanto che le amministrazioni non hanno nascosto in più di una occasione di considerare più efficaci le previsioni metereologiche e le perturbazioni atmosferiche che non quanto da loro determinato. È in questo scenario che, per quanto riguarda la Capitale, si è inserita la proposta di Sailaviciclisti-Roma, presentata durante una conferenza stampa tenutasi in Campidoglio lo scorso 30 dicembre, proposta che si sostanzia in 5 punti chiari ed estremamente essenziali:

dimezzamento del parco macchine privato nell’arco di 5 anni ;

area urbana 30 km/h, con controlli reali e pervasivi ;

realizzazione di Bike lanes;

incentivi destinati a car e bike sharing comunale;

pedonalizzazione di ampie aree della città all’interno delle mura aureliane.

5 punti che, pur non avendo la presunzione di risolvere i problemi relativi al congestionamento dell’Urbe, si basa sulla convinzione che, se adottati, migliorerebbero di non poco non solo la qualità dell’aria capitolina, ma anche e soprattutto la qualità della vita (scesa al 16° posto nella tradizionale classifica del Sole 24Ore per quanto riguarda il 2015) di chi vive la città eterna.

Infine, il peso e la forza che Salvaiciclisti-Roma si è guadagnata in questi primi tre mesi di attività ed intervento sul territorio è testimoniato dai sempre più frequenti tentativi di ‘abboccamento’ provenienti dal mondo politico capitolino, tentativi dal chiaro intento e sapore strumentale in vista delle prossime elezioni amministrative che, a meno di eventuali colpi di scena, dovrebbero tenersi nell’ultima settimana di maggio 2016 o al massimo nella prima decade del giugno successivo.

La posizione Sic-Roma è chiara e non soggetta ad alcun tipo di mediazione: approntare politiche volte all’affermazione di un modello di mobilità diametralmente opposto a quello autocentrico ancora oggi imperante, un modello in cui chi assume le due ruote a pedali come suo primario mezzo di locomozione non si senta, e non venga considerato, ne abusivo ne clandestino sulle strade della Capitale, in conclusione un modello che partendo da una nuova concezione della mobilità cittadina sia capace di riportare Roma al livello delle maggiori capitali europee e ridare linfa e vigore ad una vasta rete di relazioni sociali, o meglio ad una socialità intesa in senso ampio, venuta meno negli ultimi anni nelle strade della città, ma che ha saputo resistere sulle selle e sui pedali dell’Urbe.

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