Nell’era della distrazione universale, in cui la gente è sempre più disorientata e il mondo sembra virare verso l’ipertrofia dei sensi, il fenomeno Trump è riuscito ancora a sorprenderci.
Donald Trump, lo showman, il magnifico, il Paperon de' Paperoni è tornato alla Casa Bianca, offrendo un succulento buffet di retorica, dove anche le verità assolute appaiono sbiadite. L'idea che con lui possano risolversi temi caldi come il conflitto russo-ucraino o l’immigrazione ha creato nell’immaginario collettivo un pensiero che fa sognare.
…È la sera dei miracoli…
Ma la vittoria bis di Trump non è solo una questione di slogan e spettacolo perché il dilagare di una certa ideologia insieme ad un’abbondante dose di populismo allarma sul rischio di una generazione di politici che discute più di muri che di ponti.
Dietro l’ironia mediatica di quello che appare un revival della politica alla “Make America Great Again”, mentre l’America si prepara a quattro anni che si preannunciano movimentati, la comunità internazionale ha già inondando il web con una serie di variopinti pronostici. Se i più fantasiosi immaginano Donald come una fenice rinata dalle ceneri, i late-night show stanno già pregustando un lungo periodo di materiale creativo.
Allora cosa dovremmo aspettarci davvero? Una base affidabile da cui ripartire per spiccare il volo o un evanescente Trump-olino che spinge verso la caduta?
Il sogno o l’illusione?
Insomma, parlare di Trump è parlare delle sorti globali, sotto ogni punto di vista.
In questo strano gioco di slanci, speriamo almeno di restare con i piedi in un’unica direzione: quella del buon senso.
Ma nella sera dei miracoli tutto è possibile…
Così, anche quando la terra appare bruciata, c’è sempre una fiamma che riaccende nuove occasioni.
E mentre il vento minaccia di portarsi via tutto il fumo, da questa parte le ceneri annunciano che una nuova fenice è risorta. Non quella dei tweet demagogici che fanno piedino al sentiment dei grandi volumi ma la simbolica resilienza che restituisce all’individuo la sua naturale appartenenza ad una comunità.
Non è ancora il tempo della fine.
Qualche illuminato idealista fissa una stella nel cielo per ritrovare la parte buona del “sogno americano". Di chi aveva creduto nell’inclusione, nella via di fuga dalla persecuzione e dalle guerre, quando, lontano dai modelli del Vecchio Mondo, l'America aveva rappresentato il luogo delle opportunità.
Della possibilità di migliorare la propria condizione sociale.
Dei miracoli.
Forse quel sogno non è mai esistito. È un’illusione.
Eppure, nonostante l’aumentare del divario tra ricchi e poveri degli ultimi decenni abbia messo alla prova l’idea di uguaglianza economica, di giustizia sociale ed equità civile, per alcuni l’American dream rimane una promessa. Quell’ideale imperfetto che ha solo bisogno di adattarsi ad una realtà più complessa e interconnessa.
Forse l’idea di un futuro migliore non conosce razze o tasche.
Forse il sogno è quella dimensione che ci rende finalmente tutti uguali:
“…È la sera dei cani che parlano tra di loro
Della luna che sta per cadere
E la gente corre nelle piazze per andare a vedere[1]…”
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[1] Tratto dal brano “La sera dei miracoli” di L. Dalla