I due artisti, che condividono un forte senso d’appartenenza alla Sardegna (per entrambi terra d’origine) e al tempo stesso una propensione naturale alla sperimentazione, in cinque giorni si sono esibiti a Bologna, Roma (Sold Out), Salerno, Lucca ed infine Cagliari.

Interpreti della tradizione musicale italiana (sarda in particolare), nel tempo sono riusciti ad intraprendere un percorso personale di innovazione che ha infine trasformato, o quantomeno mutato, le sonorità proprie del loro background artistico.  Nonostante le loro radici siano ben visibili allo spettatore, la loro musica è infatti un costante tentativo di aggiornare e modernizzare quelle radici fino a renderle forse ancor più profonde.

Iosonouncane ha alle spalle due dischi (La Macarena su Roma e DIE), dei quali soprattutto il secondo può essere visto come un imponente contenitore di immagini, che dall’ascolto richiedono immediatamente un’evidente rappresentazione visiva: la terra, il sole, la vigna, la riva, il mare, il caldo, gli scogli, il vento, la pioggia, il corpo ed i suoi sensi; sono solo alcune delle componenti tematiche che si susseguono incessantemente nei testi di Incani.
Si presentano come elementi talvolta intercambiabili di una struttura a primo ascolto vaga ed inconcludente, ma che risulta infine calzante ed incisiva, capace di dare vita a questa lunga serie di sensazioni immaginifiche inevitabilmente legate alla terra natia dell’artista.
Il tutto viene arricchito da una ricerca musicale nella quale le chitarre si intersecano con l’effettistica e l’elettronica, che vengono costantemente lasciate libere di agire all’interno dei brani.

Le innumerevoli pubblicazioni e collaborazioni che costituiscono la carriera musicale di Paolo Angeli sono una continua testimonianza del profondo attaccamento mantenuto verso le proprie origini.
Nato e cresciuto a Palau, sin da piccolo è protagonista di un viaggio che non prevede barriere stilistiche nel mondo della musica. Arriverà inoltre a padroneggiare le forme del canto a chitarra gallurese e logudorese. Questo attaccamento in seguito assumerà caratteri molto più ampi, grazie al lavoro di ricerca effettuato dallo stesso Angeli. Non a caso si laurea in Etnomusicologia e collabora per anni con l’Istituto Superiore Regionale Etnografico (ISRE).
Dal 2005 vive a Barcellona, da dove si propone di individuare un punto di sintesi tra la musica tradizionale sarda e le forti influenze mediterranee che animano la capitale europea.

Se le loro carriere personali possono essere una valida testimonianza della ricerca descritta finora, è ancor più emblematica l’esibizione che li vede uno accanto all’altro.

Subito dopo la performance di Tobjah, che apre il concerto, sul palco rimane la strumentazione musicale, la quale ci regala già alcune conferme di quanto già detto: da una parte una chitarra elettrica, computer, cavi, pulsanti e manopole che daranno vita alla componente elettronica guidata dalle mani sapienti di Iosonouncane; dall’altra parte la famosa chitarra sarda preparata suonata e creata da Paolo Angeli, che da sola racchiude un’ottima sintesi dell’incontro-scontro tra avanguardia e tradizione popolare che muove la musicalità dei due artisti: strumento a 18 corde, che si pone come ibrido tra chitarra baritono, violoncello e batteria, dotato inoltre di martelletti, pedaliere ed eliche a passo variabile.
Si evince in maniera quasi disarmante l’impossibilità di collocare uno strumento del genere (e né tantomeno i risultati dell’esecuzione di tale strumento) nella schematicità che la tradizione prevede.

Da quando i nostri si manifestano prende vita una concatenazione di suoni, rumori, improvvisazioni ed effetti, che si propagano nel teatro fino ad innalzare intorno allo spettatore una suggestiva cornice che permette di immedesimarsi fino in fondo nelle sensazioni disegnate dalle note e dai colpi che nascono davanti ai nostri occhi. Non si assiste ad una scaletta di brani delimitati nettamente l’uno dall’altro, ma ci si ritrova piuttosto immersi in una dimensione sensoriale che assume la propria completezza grazie ad un flusso ininterrotto di emozioni e contrasti sprigionati quasi senza sosta per un’ora e mezza circa.

Pochissime le pause, che lasciano spazio agli applausi e al rifiatare del pubblico; per il resto si disegna ai nostri occhi un calderone pulsante ricco di vibrazioni e suoni, capace di riportare in maniera tangibile l’intensa visceralità insita nelle creazioni dei due musicisti.
Da questa visceralità prendono forma gradualmente delle frasi ritmiche riconoscibili o anche momenti di cantautorato puro che muove al canto uno o entrambi gli esecutori.

All’interno del concerto vengono proposte rivisitazioni di canti popolari sardi, ma anche riadattamenti di brani tratti dalle discografie personali dei due artisti, inevitabilmente mutati dalla collaborazione che viene esibita.

Così come la particolare chitarra già descritta, dunque, sono l’ancestralità e la ricchezza delle proprie origini a far muovere i primi passi a questi due meravigliosi artisti, che raggiungono tuttavia trasformazioni e rivisitazioni così estreme da permettere difficilmente un qualunque tipo di categorizzazione.

Qualunque cosa sia, la sensazione che ci accompagna all’uscita è che ne abbiamo bisogno.