Rockin’1000 è un progetto nato nel 2015 dalla passione di Fabio Zaffagnini e di una manciata di ragazzi e ragazze di Cesena oltre a lui.

Il 26 luglio nasce "Romagna Calling the Foo Fighters", un’idea quanto mai ambiziosa: radunare mille musicisti e, attraverso una performance unica, convincere i Foo Fighters a suonare a Cesena, per la gioia dei “millini”. Al Parco Ippodromo mille musicisti sincronizzati tra loro suonano e cantano dunque Learn To Fly. Il video di quell’esibizione raggiungerà più di 39 milioni di visualizzazioni in poco più di due anni.

La carica e la spontaneità messe in campo (letteralmente) dai Mille hanno avuto un’eco così profonda che Dave Grohl e compagni non hanno potuto fare a meno di esaudire il desiderio il 3 novembre 2015, in un live dedicato esclusivamente ai Mille, i donatori e i volontari della performance di luglio.

La stessa spontaneità assume forma nuova l’anno seguente con il progetto “That’s Live”: l’ambizione porta la più grande Rock Band del mondo ad allestire un vero e proprio concerto (con tanto di scaletta da 17 pezzi) allo Stadio Manuzzi di Cesena davanti a 14 mila spettatori paganti, che assistono stupefatti ad uno spettacolo mai visto prima.

Il tutto registrato in un album prodotto nel gennaio 2017 da Sony Music Italy: That’s Live - The Biggest Rock Band on Earth live in Cesena 2016, attualmente in vendita in formato CD o vinile presso tutti i negozi di dischi e online.

Quest’anno i millini vogliono ripetersi e da Cesena ci muovono di 530 chilometri fino a Courmayeur, più precisamente fino alle pendici del Monte Bianco, in Val Veny a più di 1500 metri d’altezza, per il “Summer Camp”.

Novità di quest’edizione è la possibilità per gli spettatori di assistere alle prove, oltre al “Big Fire” (chitarre e voci registrano insieme la cover di Tender dei Blur, accanto a un falò che scalda musicisti e spettatori) e a “The Medley Experience”, appuntamento principale del programma dove i millini, guidati dal solito maestro Sabiu, presentano al pubblico tre medley che attraversano la storia del rock.

Nonostante il ricco programma distribuito su quarantott’ore, si nota già dal primo giorno che quest’anno le alte aspettative non verranno ripagate: arrivati nella (splendida) vallata della Val Veny assistiamo alla suggestiva esibizione, che impegna tuttavia chitarristi e cantanti a ripetere la stessa canzone più e più volte. Davanti ai nostri occhi infatti ci sono non solo i musicisti, ma ciak in campo, macchine da presa, microfoni, insomma un vero e proprio cast di produzione, e finché non si ottengono delle registrazioni soddisfacenti del brano, questo va ripetuto. Poco importa se migliaia di spettatori sono accorsi ad assistere, poco importa se l’orario di accensione del falò è nel frattempo slittato di un’ora e un quarto, e poco importa che l’ossessiva ripetizione del brano arriverà inevitabilmente a stancare gli interpreti e ad infastidire gli ascoltatori.

Il giorno seguente cambia il programma ma non il copione: The Medley Experience ancora una volta è un evento che pretende di essere seguito da un gran numero di spettatori ma senza tentare di indirizzare a questi lo show, né tantomeno di coinvolgerli in qualche modo. Così, l’appuntamento principale del programma si riduce ad una frustrante ripetizione di tre medley arrangiati, preparati, provati ed eseguiti con un notevole sforzo dei musicisti e del maestro Sabiu.
Nonostante quasi tutti conoscano le canzoni eseguite, e nonostante la carica sprigionata dai mille e più musicisti sia enorme, non si riesce a raggiungere un coinvolgimento degno della portata dell’evento a cui stiamo assistendo.

Il problema, per chi (come chi scrive quest’articolo) ha ancora in mente lo spettacolo ineguagliabile del That’s Live, è il sensibile distacco tra la spettacolarità del concerto dell’anno scorso e di quello di quest’anno. Allo stadio Manuzzi di Cesena abbiamo assistito ad un vero e proprio show, organizzato ed eseguito a favore di un pubblico che è sempre stato e sempre sarà componente nevralgica dell’industria musicale (tornano in mente momenti come lo spettacolare ingresso del maestro Sabiu, o il primo attacco delle batterie, o ancora il commovente discorso di Fabio Zaffagnini); in Val Veny invece ci siamo sentiti quasi come degli intrusi che assistono clandestinamente alle prove del gruppo. Si, perché se la novità di quest’anno doveva essere quella di poter finalmente assistere anche alle prove, ci si è infine resi conto di aver assistito solo alle prove, senza poter godere di un vero e proprio concerto degno di questo nome.

In quest’atmosfera di disappunto bisogna considerare anche le difficoltà organizzative messe in atto dal team di Rockin’1000: oltre agli imprevedibili slittamenti di orario all’interno del programma, in un luogo sicuramente impreparato ad ospitare le migliaia di musicisti e spettatori presentatesi, per tre giorni il traffico è stato chiuso, così che per collegare i circa sei chilometri tra la valle e Courmayeur (dove molti alloggiavano) si è dovuti ricorrere a navette sostitutive, accettando le relative difficoltà di trasporto che ne sono conseguite. File lunghissime e tanta attesa per un servizio, che nonostante fosse indispensabile causa blocco del traffico, presentava un ulteriore costo da aggiungere alla cifra già pagata per poter assistere alle due giornate di concerti e a quella versata per il soggiorno di almeno due notti.

Il sottoscritto si rende conto che il numero impressionante di persone comprese tra produzione, musicisti, spettatori, turisti e organizzatori sarebbe complicato da gestire in qualunque città, figurarsi in una cittadina di quasi tremila abitanti. Oltretutto va detto che se l’organizzazione ha avuto le sue colpe, anche la sfortuna ci ha messo lo zampino: il maltempo è riuscito a rendere le prove pre-concerto impraticabili, ed il concerto stesso è stato seriamente in dubbio fino a poco prima dell’inizio.

Veniamo inoltre ai meriti di quest’esperienza: nonostante il paragone con l’edizione precedente, c’è da dire che anche quest’anno tanti millini erano alla loro prima esperienza (quantomeno a questi livelli) ed è indubbio che suonare con mille persone al tuo fianco sia qualcosa di difficile da dimenticare. Iniziative come il rotation stage per esempio, un piccolo palco situato a fianco di quello ufficiale e dedicato a chi tra i millini avesse voglia di suonare anche in formazioni più tradizionali, offrono la possibilità di risaltare maggiormente rispetto a quando si suona tra mille e più “colleghi”. Insomma, poter approfittare di un pubblico di queste dimensioni è una grandissima occasione per qualunque musicista, che sia più o meno amatoriale.

Di quest’edizione di Rockin’1000 rimane dunque una nota d’amarezza e timore: la prima dovuta a come la mentalità sembri trasformata, da quell’entusiasmo capace di coinvolgere i Foo Fighters, che ormai sembra così lontano, fino allo sfrenato merchandising e all’imponente rete di produzione allestiti oggi; il secondo è invece volto al futuro: il progetto non accenna a fermarsi e sembra in grado di superare nuovi limiti ogni anno, la paura è che si arrivi a monetizzare sempre più e coinvolgere sempre meno.
Davanti agli occhi compare di nuovo Fabio, davanti a 14 mila persone e dietro ad altre mille, con gli occhi lucidi ed un microfono in mano: “This is the revolution!”.
Cerchiamo di tornare a quel momento e di non perdere la spontaneità che ha caratterizzato questo ambiziosissimo progetto fin dalla sua nascita.