Dopo 57 anni dal suo adattamento cinematografico più noto, il romanzo di Moravia, Gli Indifferenti (1929), ritorna sul grande schermo. 

Il primo adattamento di cui parliamo è quello di Francesco Maselli, del 1964.  Della ricchezza tematica  e  contenutistica del romanzo, il regista  toscano si servì, pur nell’ambito di una certa fedeltà di impostazione, in maniera personale. Se nel romanzo Moravia dava corpo alla rappresentazione della dissoluzione di una famiglia borghese in cui debolezze intrinseche e scelte sbagliate segnavano i destini dei protagonisti, il regista le sovraccarica di valenze semantiche ulteriori.

Come nel romanzo, nel film di Maselli i personaggi si muovevano in un quadro privato, un uno scorcio di vita domestica, con un sottofondo di toni che trapassavano dal chiaroscuro al buio completo: paradigma della corruzione della borghesia del tempo, in pieno stato di crisi. Non fu casuale infatti che le scene esterne fossero, per tale ragione, quasi tutte ambientate in una Roma autunnale ed uggiosa, la cui atmosfera sembrava essere il correlativo dei due fratelli protagonisti, Michele e Carla. Anche nel nuovo adattamento del 2020, di Leonardo Guerra Seràgnoli, troviamo caratteristiche e immagini molto simili.  Come attori protagonisti troviamo Valeria Bruni Tedeschi  nei panni Mariagrazia Ardengo, madre che rimasta vedova, trascorre una vita abitudinaria e legata ai clichés morali della borghesia, in uno stato di inconsapevolezza.  Edoardo Pesce come Leo Merumeci, ambiguo amante della madre e amico di famiglia.  

Vincenzo Crea interpreta Michele e Beatrice Grannò Carla, figli di Mariagrazia, sono due giovani incapaci di provare veri sentimenti, in balia della noia e dell’indifferenza  di fronte al declino sociale ed economico della loro famiglia. Giovanna Mezzogiorno è Lisa, amica di famiglia. Tutti questi personaggi  sono intrappolati nella gabbia d’oro del loro status borghese, ben rappresentato dagli eleganti interni delle loro case, in cui trascorrono gran parte del loro tempo. Ne viene fuori una decorativa fantasia borghese che passa dal rosso scarlatto della sala da pranzo, alle sfumature del verde che avvolgono il salotto, passando per il bianco del “circolo più importante di Roma” fino alle luci acide della scena in discoteca. Ognuno dei protagonisti  vive in un costante stato di menzogna nei confronti di se stesso e degli altri, ad eccezione di deboli ed inconcludenti sforzi di ribellione verso questa campana di vetro, da parte di Michele.

L’intenzione del nuovo adattamento è chiara: portarlo all’oggi per sottolineare quanto le meschinità, le ipocrisie, le miserie umane del ceto borghese siano eterne, a maggior ragione nel perimetro di una Roma immutabile nei secoli, attraversata dalle scosse costanti di un terremoto. Quello che rimane ancora certo, è la sorprendente modernità di un romanzo scritto nel 1929, ma che non smette di rappresentare la contemporaneità e i conflitti interiori dell’essere umano, epoca dopo epoca.