Uno dei film che ha segnato il 2020 è sicuramente Ritratto di una giovane in fiamme di Celine Sciamma, che vanta il premio per la miglior sceneggiatura al 72esimo festival di Cannes e una candidatura come miglior film straniero ai golden globe 2020.

Siamo nel 1770, in una landa desolata della Bretagna. Marianne (Noémie Merlant), pittrice di talento, viene ingaggiata per fare il ritratto della sfuggente e tenebrosa Héloise (Adèle Haenel), una giovane donna che ha da poco lasciato il convento per sposare l'uomo a lei destinato. Héloise tenta di resistere al suo destino, rifiutando di posare. Su indicazione della madre, Marianne dovrà dipingerla di nascosto, catturare i suoi lineamenti e movimenti, imprimere su tela i tratti della sua personalità, fingendo di essere la sua dama di compagnia.

Le due donne iniziano a frequentarsi e tra loro scatta un amore travolgente e inaspettato, segnato da eloquenti silenzi e l’armonia tra sguardo pittorico e cinematografico. La regista regala così dei quadri che fondono volti e corpi delle due attrici, in un insieme organico di grande intensità. Frequenti, poi, le scene in cui la macchina indugia sulla mano che ritrae.

Il ritratto di una giovane in fiamme è un film in cui i paesaggi e gli sguardi delle due donne protagoniste si dipingono timidamente sullo schermo con colori tenui e desaturati, fino ad assumere la vivacità e la concretezza di tonalità più accese, in corrispondenza dell’evolversi di un sentimento sempre meno nascosto. Quelle che si vanno a formare sono immagini irrequiete, che racchiudono il sublime del canone pittorico romantico, ambientando la storia tra scogliere e mari in tempesta. Cinema e pittura si fondono. Si potrebbe dire che la pellicola sia il racconto della scoperta di un amore, ma più in generale traccia una possibile via verso l’emancipazione, sessuale e quindi politica.

Quello che viene rappresentato è un mondo in cui le figure maschili sono semplici comparse o un’indefinita serie di volti nella folla. Il tema del ricordo, e del rimpianto, segna le parole di ogni dialogo, per trovare espressione perfetta nel mito di Orfeo ed Euridice: evocato e dibattuto nella scena cardine del film, tanto da arrivare a fissare sulle pagine delle  Metamorfosi ovidiane l’unica memoria che a Héloïse resterà di Marianne, un autoritratto.