Una storia dura e commovente che si tinge di sfumature noir, anche se l’assetto narrativo non è del tutto soddisfacente.

Il permesso – 48 ore fuori è la seconda prova da regista per Claudio Amendola (La mossa del pinguino, 2014), che scrive la sceneggiatura insieme a Giancarlo De Cataldo e Roberto Jannone, oltre ad interpretare uno dei protagonisti. Il film racconta i due giorni di permesso di quattro detenuti, Donato (Luca Argentero) un ex pugile alla ricerca della moglie finita in un giro di prostituzione, Luigi (Claudio Amendola) un criminale veterano, Rossana (Valentina Bellè), una giovane ribelle di buona famiglia e Angelo (Giacomo Ferrara) un ragazzo di borgata.

Le quattro storie si sfiorano ma non si intrecciano, creando spesso picchi di suspence interessanti, con degli elementi molto forti e crudi.

La sceneggiatura funziona, anche se la scelta di raccontare quattro personaggi risulta un po’ azzardata. Infatti il percorso di ognuno risulta poco esaustivo, lasciando un grosso punto interrogativo su alcuni di loro. Delle storie sono conclusive ma non ci dicono abbastanza e servono a sviluppare poco dei personaggi ben costruiti. I dialoghi sono dinamici e per necessità stilistiche viene usato in alcuni casi il dialetto, ma è omogeneo nell’universo diegetico.

La regia di Amendola è fotografica e descrittiva, segue i personaggi con lentezza e ben si adatta alla narrazione, che prosegue per gradi. Più aumenta la suspence e più la regia si fa intensa. Ottimo connubio con la fotografia di Maurizio Calvesi, che trasforma questo racconto criminale in un vero e proprio noir. Tonalità basse e cupe che rispecchiano l’anima dei personaggi.

Amendola è in linea con Luigi, tanto da ricordare il ben noto Samurai di Suburra (Stefano Sollima, 2015). Un uomo disposto a tutto per salvare il figlio che si è messo nei guai, ma non è come il padre. Ottima interpretazione per la coppia Bellé e Ferrara, che spiccano per il disincanto e la freschezza attoriale. Le loro storie sono più avvincenti e realistiche per alcuni aspetti, mostrano un lato diverso, più giovane e paradossalmente meno criminale. Infine Argentero, che ritroviamo in una veste del tutto nuova, prova ad essere un uomo consumato dalla frustrazione e dalla vendetta. Ci prova e ci riesce in parte, anche se non ai livelli di Amendola.

Il film ha buone intenzioni, ma anche alcune falle narrative, lasciando in più occasioni l’amaro in bocca. Visione consigliata per gli amanti del genere.