Quante volte abbiamo pronunciato questa frase con l’avvicinarsi del nuovo anno. O quante volte l’abbiamo pensato e sperato che il nuovo anno portasse con sè, in modo magico o come dono di Babbo Natale cose nuove, cambiamenti importanti nella nostra vita.

Il vecchio anno va via e con sè trascina tutti i buoni propositi che 12 mesi prima avevamo individuato e che forse non abbiamo realizzato. Eppure c’era tutta la nostra volontà a produrre dei cambiamenti! Come mai non ci sono riuscito?

Una delle prime difficoltà è proprio la definizione del proprio cambiamento in termini apparentemente significativi ma in realtà inutili: voglio essere felice, godere di più della vita, avere una comunicazione migliore con il coniuge, avere meno preoccupazioni, ecc. Ma è proprio questa vaghezza delle mete che rende impossibile raggiungerle. Sono proprio le soluzioni tentate a divenire il nostro problema!

Un famoso proverbio francese dice: Plus ca change, plus c’est la meme chose” più si cercano di cambiare le cose e più restano come sono. In tale frase è palpabile il rapporto paradossale e sconcertante tra persistenza e cambiamento che apparentemente hanno natura opposta. Spesso sono proprio i tentativi sbagliati di voler apportare coercitivamente un cambiamento che mantengono immutata la situazione.

Un approccio pragmatico al cambiamento verte sul che cosa? Cioè che cosa avviene qui ed ora che perpetua una difficoltà e che cosa si può fare qui ed ora per produrre un cambiamento?

Quando avvertiamo la necessità di modificare qualcosa nella nostra vita questa è determinata da una situazione pregressa ormai alla fine e da una nuova verso cui ci sentiamo sospinti e che non sappiamo sempre cos’è. La stragrande maggioranza delle persone rincorre la felicità immaginandola collegata al raggiungimento di obiettivi che, una volta ottenuti, danno poco o nessun sollievo alla loro inquietudine e sete” di serenità. Poche sono le persone consapevoli dei loro veri bisogni e desideri. Questo gravissimo limite è la conseguenza di una progressiva perdita di consapevolezza, originata dall’essere troppo concentrati e interessati al mondo esterno anziché a quello interiore. Finiamo così per non sapere più chi siamo e cosa vogliamo. Un saggio dice: “Se vuoi sconfiggere un nemico devi prima conoscerlo a fondo. Se vuoi cambiare te stesso devi prima conoscerti a fondo”. Alla base di ogni cambiamento non può non esserci la conoscenza di sé, lo sviluppo di alfabeti che ci permettono di decodificare il nostro pensiero, la nostra emozione e le nostre azioni. Quindi più che di cambiamento io parlerei di consapevolezza. Anno nuovo consapevolezza nuova! La parola consapevolezza è derivato di consapere, composto di con e sapere. Non è un superficiale essere informati, né un semplice sapere ma è una condizione in cui la cognizione di qualcosa si fa interiore, profonda, perfettamente armonizzata col resto della persona, in un tutt’ uno coerente con il mondo. La consapevolezza non si può inculcare: non è un dato o una nozione. È la costruzione originale del proprio modo di rapportarsi col mondo.

La consapevolezza di sé ha a che fare con la conoscenza di se stessi che avviene attraverso la relazione con l’altro: è attraverso l’osservazione della propria manifestazione e dei segnali di ritorno che l’altro da noi ci manda imparo a vedere che cosa esprimo, sento, penso e osservo che cosa giunge come reazione dall’altro a ciò che ho espresso. Ogni cambiamento inizia con la capacità di percepire in maniera consapevole se stessi, possiamo cambiare solo ciò di cui siamo consapevoli. Non un cambiamento fuori di me, ma dentro di me.

Essere consapevoli significa saper identificare: i propri punti di forza, le proprie aree deboli, il proprio modo di reagire di fronte alle situazioni, le proprie preferenze (es. in quali situazioni sto bene e in quali non mi sento a mio agio?) i propri desideri, i propri bisogni, le proprie emozioni.

La consapevolezza di che cosa sta accadendo in me in questo preciso istante è fondamentale: consapevolezza è vedersi, se non mi vedo i meccanismi mi travolgono, quello che sono sempre stato prende il sopravvento, non mi conosco né, tantomeno, cambio. Tali considerazioni le troviamo magistralmente espresse e operanti nel concetto di Mindfulness che deriva dagli insegnamenti del Buddismo, dello Zen, e dalle pratiche di meditazione Yoga. Solo dagli anni settanta negli Stati Uniti per opera di un medico del Massachusetts, Kabat-Zinn, questo modello è stato assimilato ed utilizzato come paradigma autonomo in alcune discipline mediche e psicoterapeutiche italiane, europee e d'oltre oceano. Mindfulness è la traduzione di "sati" che in lingua pali (il linguaggio utilizzato dal Buddha per i suoi insegnamenti) significa essenzialmente consapevolezza, attenzione, attenzione sollecita. Mindfulness è quindi una modalità di prestare attenzione, momento per momento, nell'hic et nunc, in modo intenzionale e non giudicante, al fine di risolvere (o prevenire) la sofferenza interiore e raggiungere un’accettazione di sé attraverso una maggiore consapevolezza della propria esperienza che comprende: sensazioni, percezioni, impulsi, emozioni, pensieri, parole, azioni e relazioni.

Migliorare questa modalità di prestare attenzione permette di cogliere, con maggiore prontezza, il sorgere di pensieri negativi che contribuiscono al malessere emotivo. La padronanza dei propri contenuti mentali e degli stili abituali di pensiero (capacità di automonitoraggio e metacognizione) permette maggiori possibilità di esplorazione, espressione e cambiamento di tali contenuti

La consapevolezza emotiva è la base per una buona consapevolezza di sé e consiste nel saper riconoscere i segnali emotivi del proprio corpo e dare un nome alle emozioni che si provano e che ci "informano" sulle nostre preferenze, gusti e bisogni.

Se vuoi essere più felice devi perciò conoscere profondamente te stesso e la strada che stai percorrendo. Devi anche accettarti così come sei ora, per avere l’energia necessaria al cambiamento: se infatti non ti accetti perdi nel conflitto, l’energia che ti servirebbe per cambiare. Se ci fidiamo delle parole dei meditatori, pare che la consapevolezza sia prima di tutto un cambiamento del modo in cui facciamo conoscenza di noi e del mondo. Ha a che fare col modo in cui il sé si relaziona alle emozioni e ai sentimenti, uno modo allo stesso tempo più stabile, più libero e più ricco. Mi permette di sperimentare i pensieri appunto come pensieri, accanto e insieme al mio corpo, alle mie emozioni e alle mie sensazioni. La consapevolezza ha a che fare con l’incremento dell’attenzione che dedico alle azioni del mio corpo, spontanee o volute. Con maggiore consapevolezza si affina il mio linguaggio e mi rendo più comprensibile a me stesso, non mi perdo nelle parole.

Diventare consapevoli di quanto accaduto, di come siamo cambiati, di quale futuro ci sta davanti è un passo fondamentale nella direzione giusta. Chi è consapevole non subisce ma può affrontare e rielaborare.

Acquisire consapevolezza non è prendere una cosa, mangiarla, acquistarla fosse anche una “caratteristica”: acquisire consapevolezza è cambiare tutto me stesso – senza paura.

George Gurdjieff ha chiamato “rimembranza di sé” questa consapevolezza del sé. Egli dice “dovunque sei, ricordati costantemente di te stesso”.

Buon anno a tutti e buona consapevolezza…