Salvaguardare l’ambiente durante la raccolta dei tartufi è un obbligo di legge. A ribadirlo è il Piano nazionale della filiera del tartufo 2017-2020 del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

Un documento essenziale per tramandare e valorizzare buone pratiche a tutela del patrimonio tartufigeno che registra oggi un progressivo calo della produzione spontanea. Fabrizio Cerasoli, coordinatore del gruppo che ha stilato le linee guida sulla ricerca e raccolta del tartufo, chiarisce quali sono le accortezze cui ci si deve attenere per non danneggiarne la formazione.

“La quantità di tartufo – spiega Cerasoli – sta diminuendo negli anni a causa dei cambiamenti climatici, dell’abbandono delle zone rurali e dell’eccessivo sfruttamento del sottosuolo senza alcuna precauzione. È stato quindi istituito il fermo ecologico della raccolta dal 15 agosto fino all’ultima domenica di settembre. Un provvedimento inderogabile per evitare che nel momento di riproduzione delle spore si prelevino i fioroni, che sono gli embrioni di quello che sarà il tartufo reale, affinché il prezioso fungo ipogeo possa fruttificare indisturbato.

Ogni Regione ha invece decifrato a modo proprio l’utilizzo dei cani, in alcune se ne possono usare due, in altre tre, ma in ogni caso bisogna limitarne la presenza, altrimenti diventano incontrollabili”. “Altro elemento fondamentale per scoprire e prelevare il tartufo in sicurezza – afferma Cerasoli - è il vanghetto. Uno strumento studiato in modo tale da non danneggiare l’ecosistema (distruggendo radici e micorrize) che consente di creare la buca localizzata e ricoprirla. Bisogna inoltre prestare molta attenzione per evitare di raccogliere il tartufo immaturo, in quanto non possiede ancora le sue tipiche caratteristiche organolettiche.

A ciò si aggiunga la corretta gestione del regime idraulico dei corsi d’acqua e dei tagli boschivi che, se mal eseguiti, alterano l’ecosistema creando dei vuoti da cui entra più sole permettendo che si sviluppino specie di piante che non sono simbionti e contaminano l’ambiente di riproduzione del tartufo. Dal suo canto, la fauna selvatica ha un ruolo relativamente pericoloso. In particolare i cinghiali, che per loro natura fiutano e cercano tartufi, se numerosi, devastano prati e ribaltano il terreno oltre ad esercitare con il loro peso una dannosa pressione sul suolo provocando danni alle tartufaie spontanee. Ricordo infine che non deve esserci alcuna improvvisazione nella ricerca, il tartufo può essere raccolto nei boschi e nei terreni non coltivati solo se si è in possesso dell’apposito tesserino e si è in regola con il pagamento del contributo ambientale”.

La necessità di contrastare la drastica riduzione di una risorsa preziosa per il futuro dell’economia calabrese ha indotto l’azienda Pirro, che da qualche anno si è imposta sul mercato lanciando la nuova linea Tartufo Nero di Calabria, ad avvalersi di fornitori certificati che operano esclusivamente sul territorio. Da sempre attenti alla sostenibilità delle produzioni agroalimentari, i fratelli Pirro, con un’accurata serie di controlli selezionano i tartufai con cui collaborare al fine di tutelare la biodiversità e il fragile ecosistema boschivo, consapevoli che la difesa dell’ambiente sia essenziale per il rilancio della Calabria.