Capelli castani lunghi fino alle spalle. Occhi da gatta, piccoli e un po’ gonfi. Sorriso semplice e accattivante nello stesso tempo. Questa è la faccia, più o meno, che ti viene incontro se digiti su Google Immagini il nome di Rose Tremain.

Perché sono sempre curiosa di vedere il volto di coloro che scrivono, di coloro che ti hanno tenuta incollata alle pagine. E’ un vezzo, lo riconosco. Un’ infantile curiosità forse. Un po’ come quando a volte, nella scelta di un nuovo libro, mi lascio guidare dalla copertina. Non è una questione di superficialità. E’ estetica. Qualcosa che ha a che fare direttamente con la bellezza e con i sensi.

E a proposito di sensi la Tremain li risveglia tutti. La vista che scorre veloce durante la lettura. Il tatto e l’udito, mentre mossa dalla curiosità, sfoglio quasi con violenza le pagine fino ad incresparle rumorosamente. L’olfatto, perché ogni libro ha il suo odore. E ancora il gusto - perché no? - mentre avida, come quando scrivo, mi mangio le dita.

Così ho vissuto la scoperta dei dodici racconti di Rose Tremain nella raccolta The Darkness of Wallis Simpson, edita dalla casa editrice Omero nel 2013 e tradotta da Davide Martirani.

Anche qui la copertina, realizzata da Luigi Annibaldi, ha il suo perché, con quel bimbo in controluce (che piuttosto sembra essere l’ombra di se stesso) dalla faccia trasparente e due grosse ali dietro la schiena. E’ il bambino protagonista di Falena, racconto della Tremain dal quale François Ozon ha tratto nel 2009 il film Ricky – Una storia d’amore e libertà, presentato in concorso alla 59ª edizione del  Festival Berlino.

«Ma appena la mia mano lo toccò, lui sfrecciò via da me e se ne andò a zig-zag verso il lampadario.

– Cristo Santo – disse Pete. – Ricky sta volando!».

Perché c’è in effetti qualcosa di magico nei racconti di questa scrittrice britannica. Qualcosa di ammaliante, di speciale, che fa vibrare dentro di noi delle corde profonde, che ci prende per mano e ci accompagna attraverso la narrazione di tante storie diverse tra loro e diverse dalla nostra, ma che hanno tutte un filo conduttore che le unisce, qualcosa di familiare che riconosciamo d’istinto come se appartenesse pure a noi. D’altronde è questo (anche questo) che fa la letteratura alta. Aiuta a ritrovarsi, a riconoscersi in essa come dentro uno specchio magico.

Nel racconto Natività la voce narrante dice, ad un certo punto: «Quand’ero ubriaco – cosa che capitava spesso – pensavo, be’, magari quel piccolo Danile me lo sono sognato? Perché sono incline agli incantesimi dell’assurdo».

Appunto. Inclini agli incantesimi dell’assurdo.

Per questo motivo non ci stupiamo se una donna dalla vita poco soddisfacente, che si ritrova per caso a fare la madre di un’adolescente complicata, chiede aiuto e coraggio ad un oggetto, una mano d’ebano (questo il titolo del racconto), che per anni, nel negozio in cui lavorava, aveva lucidato con cura e attenzione.

«Era passato tanto tempo da quando Amy Cunningham aveva venduto la mano d’ebano (…), perciò mi dissi che probabilmente non l’avrei trovata. E invece la trovai. Stava su un lavabo di marmo (…). E quando la vidi e la presi in mano, un’ondata di gioia pura mi fece sentire la testa vuota».

Piccole epifanie quotidiane, prese di coscienza che a volte paralizzano, ma che nella maggior parte dei casi aiutano a trovare la forza per cambiare rotta ad una vita che non funziona, per trovare il coraggio di perdonarsi magari, per dimenticare una volta per tutte il passato.

Così ci ritroviamo in compagnia di un pinguino che porta lo stesso nome di un vecchio compagno di scuola morto troppo presto, di un moderno Re Mago che porta in dono al nascituro una conchiglia d’ostrica, la cosa più preziosa che ha con sé, di una pila di piatti sul tavolo di un ristorante che, nel suo rimanere in equilibrio o crollare, diventa metafora di un’intera esistenza all’interno del racconto, un po’ carveriano, Come si ammucchia una pila.

The Darkness of Wallis Simpson è, oltre che titolo della raccolta, il primo dei dodici racconti, in cui la Tremain narra le tenebre nella mente della controversa e chiacchierata duchessa di Windsor e in cui, forse più che negli altri, lampante è il rapporto, altrettanto controverso, tra verità e menzogna, sogno e realtà, immobilità e movimento.

«Anche lei diceva quelle parole. O no? Gliele diceva. Gliele diceva spesso, e con tenerezza. Certo che sì. Ecco, allora, dev’essere questa la cosa che doveva ripescare dall’oscurità. Quando la MaÎtre verrà a darle il tormento, la prossima volta, le dirà così: - Mi ricordo di lui. Era troppo pallido per avere un nome. L’ho sempre chiamato tesoro».

Sprazzi di luce in mezzo al buio, i racconti di Rose Tremain, in cui vale davvero la pena di perdersi.

Rose Tremain, The Darkness of Wallis Simpson, Omero Editore, Roma 2013. http://www.omero.it/rose-tremain-the-darkness-of-wallis-simpson/