No, non è dell'isola degli immigrati, dei barconi, delle posizioni politiche, di grida perse nel vuoto del disinteresse e di lacrime fin troppo strumentalizzate che vorrei parlarvi in queste righe, ma dell'Altra Lampedusa.

Ho voglia di raccontarvi quella dei Lampedusani che, grazie ad un amico che ha casa sull'isola e che mi facilità i rapporti interpersonali con i suoi abitanti, sto imparando a conoscere e ad apprezzare; mi piace molto la loro filosofia di vita e la forza che li rende unici perché autentica e non adattata alle necessità del momento.

Hanno la tenacia e la concretezza di una popolazione che è abituata cavarsela da sola, come solo la vera gente di mare sa fare, su quella oasi più vicina all'Africa che all'Italia alla quale appartiene; gente abituata  ad accogliere senza chiedere chi sei e cosa ti ha fatto naufragare su quella terra da loro tanta amata.

Molti dei residenti sono nati sull'isola ma tantissimi ci sono arrivati in anni passati senza nessuna fuga obbligata, solo per vivere in una nuova dimensione che, se non la provi sulla pelle, è difficile da spiegare. C'è un bar vicino al porto il cui menù, chiamato Diario di Bordo, porta impressa questa frase:” … metropolitani pentiti, abbiamo lasciato la città per vivere in Paradiso, ora la nostra casa è il mare turchese dell'isola di Lampedusa”. Ho ordinato un “Negroni Sbagliato” per brindare alla loro scelta giusta che, probabilmente, anche se spesso desiderata, non avrò mai il coraggio di fare.

Quando si arriva sull'isola la prima volta ci si sente confusi, all'inizio può sembrare addirittura ostile, si presenta nuda alla vista, spogliata di qualsiasi velleità, forse perché non vuole essere amata da tutti ma solo da quelli che sono in grado di comprenderla. Certo, ha un mare meraviglioso che la colloca tra le prime mete al mondo, ma quello può bastare per una bella vacanza, non per fartela entrare sottopelle. A iniettartela, con tutte le sue contraddizioni, ci pensano quel paesaggio lunare che ti circonda per chilometri sul motorino e che si apre su piscine di mare che sembrano illuminate da fari subacquei, i lunghi muri in pietra posati a secco e i Dammusi che si mimetizzano fino a  sparire nella riservatezza, le spore dei fiori africani che volano staccandosi da arbusti cresciuti tra sabbia e roccia e il verde intenso che conquista solo qualche metro quadrato nel beige accecante delle pareti a strapiombo sul mare blu.

E poi ci sono loro, i Lampedusani, che fanno poche domande e non chiedono risposte, gente con una grande umiltà d'animo ma, di certo, non dimessa intellettualmente. Isolani abituati a non perdersi nelle motivazioni, ad attivarsi e ad aiutarsi con quello che c'è, ma anche pronti a ristabilire degli equilibri precari, come successe nel 2011, quando i clandestini arrivarono ad essere più numerosi della popolazione locale, attenti a difendere i propri spazi e la propria dignità ma sempre pronti a proseguire quel rapporto di accoglienza che li rende speciali. Tutti sono accettati con benevolenza: quelli che in quella terra di mezzo trovano il primo baluardo di una libertà sognata, i turisti incantati dai loro modi veraci, le tartarughe marine che in questa oasi vengono a deporre le uova all'inizio dell'estate e protette fino alla schiusa, i cani e i gatti che gironzolano tra il paese e la spiaggia e che dormono sulle panchine di via Roma, alimentati e curati sia dai volontari dell'associazione Un cuore ha 4 zampe che dagli isolani e, civilmente, accolti nei locali pubblici dove, sulle vetrine, campeggia un cartello con su scritto: “io posso entrare”

Grande gente, quella di Lampedusa, che non ci pensa due volte a buttarsi in mare di notte per salvare i naufraghi, magari ferendosi come Domenico e tanti altri, mentre le istituzioni chiedono i permessi alla burocrazia, oppure pronta a dispensare parole e consigli: uno per tutti il grande Don Pino, andatosene da un po' ma che ancora vive nel cuore di quelli che l'hanno conosciuto. Alle pareti del suo locale, Il Bar dell'Amicizia (mai nome fu più indovinato), ringraziamenti di grandi artisti come Claudio Baglioni, che scrive: “Don Pino aveva una grazia tutta sua, gli si affacciava dagli occhi come quella di giovani donne dalle finestre sulle vie del mondo.” O come il suo attuale sindaco, la dott.ssa Giusi Nicolini che cito con orgoglio: “[…] Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all'accoglienza, che dà dignità al nostro Paese e all'Europa intera. Allora, se questi morti sono solamente nostri, io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza”.

 Lampedusa è un luogo dove, nonostante questo grande carico involontario, la gente sorride per la strada incontrandosi o incrociandoti per la prima volta, dove i bambini non giocano scalzi parlando il dialetto stretto come ci fanno vedere in alcuni reportage, ma vestono abiti di tendenza e sono tecnologici, esattamente come quelli delle metropoli. Ho incontrato una scolaresca al Museo Archeologico, al quale, dal 3 giugno al 3 ottobre, per il progetto chiamato Verso il museo della fiducia e del dialogo per il Mediterraneo, sono state in esposizione opere provenienti da diverse città italiane: c'era l'olio su tela di Mario Schifano Il campo di pane, prestato dal Museo Civico di Gibellina,  l'olio su tela di Caravaggio  Amore dormiente, proveniente dagli Uffizi e adornato da tante simboliche barchette di carte fatte dai bambini isolani, l'Antenna Radiogoniometra di Guglielmo Marconi, proveniente dal Museo Pelagalli di Bologna, la Testa di Ade riportata in Sicilia dopo essere stata restituita dal J.P. Getty Museum di Los Angeles, che l'aveva acquistata nel 1985.

I ragazzi gironzolavano estasiati e quando sono arrivati nella zona del primo piano, quella archeologica, ho sentito dire alla loro insegnante: “... e ora ascoltatemi con attenzione, qui si parla delle vostre origini”. Mi sono unita a loro per ammirare la Statua marmorea della Dea della Fortuna del I-II sec. d.C., ritrovata durante i lavori di costruzione di una delle case del paese, le suppellettili del periodo del Bronzo a Linosa, anfore ed altri reperti dei periodi successivi, tutti ritrovati alle isole Pelagie.

Uscendo da lì, ho fatto una passeggiata fino all'archivio storico di Lampedusa, una associazione culturale che possiede una fitta documentazione dell'antica pacifica convivenza tra Islam e Cristianesimo. Cito dal libro Bibbia e Corano a Lampedusa :” Lampedusa è una terra di frontiera. Per la sua posizione geografica e per la sua storia è sempre stata terra di incontro di persone di culture e religioni differenti, nella grotta dove attualmente sorge il Santuario della Madonna di Porto Salvo, si svolgevano anticamente i riti religiosi sia dei Cristiani che degli Islamici, in pacifica convivenza e reciproco rispetto”. Accanto al il libro una foto di questa estate ha attirato la mia attenzione: erano stati immortalati alcuni immigrati mentre guardavano in televisione la fiction della Rai che parlava di loro.

Ma non sono stati solo loro ad aver avuto un contributo di interesse da parte dei Lampedusani, in fondo al mare, a quindici metri di profondità e vicino all'Isola dei Conigli, si trova una statua della Madonna con il Bambino che fu posta lì come ringraziamento da  un fotografo subacqueo che negli anni '70 ebbe un grave incidente in mare e fu salvato grazie al generoso e pronto intervento degli isolani.

Torna sempre quel mare che è, anche, la meraviglia naturale che questa isola offre.

Le spiagge e le Cale di Lampedusa sono indescrivibili, ognuna di loro sembra sempre più bella della precedente: Cala Pulcino, Cala Galera, Cala Madonna, Cala Greca, Cala Pisana, Cala Croce, Cala Maluk, e poi la spiaggia della Guitgia e quella del Mar Morto, fino ad arrivare all'Isola dei Conigli (e la attigua Tabaccara), al primo posto in Italia e in Europa e terza nella classifica delle 25 spiagge più belle al mondo, dove ogni volta, pur sapendo quello che mi aspetta, rimango meravigliata ammirandola dall'alto di quella discesa brulla che si apre su un azzurro indescrivibile che, solo le parole di Domenico Modugno, la cui casa vi si affaccia, sono riuscite a definire perfettamente, lui la chiamava la Piscina di Dio.

 L'isola è veramente invitante, concerti dal vivo nei bar all'aperto su Via Roma, diverse  possibilità di aperitivo sul suo tetto roccioso (O'Scia), in spiaggia o al porto, forni e pasticcerie con prodotti tipici esposti come opere d'arte culinarie, ristorantini ricercati che cucinano il pescato giornaliero. E poi iniziative insolite come la mostra fotografica sottomarina di Salvo Galano a Cala Croce, per la quale non serve un biglietto ma bastano un costume e una maschera per godersi un percorso espositivo circolare composto da dodici fotografie che richiamano la disposizione della bandiera dell'Unione Europea e che raccontano storie di migrazione e di integrazione, un elogio a quelli che ce l'hanno fatta e sono riusciti a trovare un posto in cui ricominciare a vivere.

Ma ora mi piacerebbe sfatare il mito che tiene lontani molti turisti da questo angolo di Paradiso, gli immigrati non sono un pericolo né una invadenza, il centro preposto li riceve e li smista in brevissimo tempo, come da direttive dell'U.E., verso altre destinazioni e quelli che si trattengono un po' di più lo fanno con educazione e rispetto, rimanendo comunque presso il centro di accoglienza.

L' isola, che purtroppo deve la sua notorietà più a fatti di cronaca che alla sua bellezza selvaggia, ha sete di essere riscattata, ha bisogno di turisti e visitatori che, dopo aver goduto delle sue meravigliose spiagge e dei paesaggi quasi marziani, si ricordi di sorridere e di stringere la mano ai suoi abitanti per ringraziarli di ciò che hanno fatto in questi anni anche a nome loro. Per questo vorrei chiudere con la poesia di Alda Merini, Una volta sognai, letta il 26 giugno 2008, all'inaugurazione della Porta di Lampedusa, detta Porta D'Europa, di Mimmo Palatino, in ceramica refrattaria e ferro zincato, alta 5 metri e posta sul limite estremo della costa che guarda l'Africa. La poesia è stata dedicata dalla grande poetessa all'isola, il cui simbolo è la tartaruga, a tutti coloro che hanno provato ad approdarci e ci sono riusciti e a quelli che stanno continuando il loro sogno in un'altra vita.

"Una volta sognai" di Alda Merini

Una volta sognai
di essere una tartaruga gigante
con scheletro d'avorio
che trascinava bimbi e piccini e alghe
e rifiuti e fiori
e tutti si aggrappavano a me,
sulla mia scorza dura.

Ero una tartaruga che barcollava
sotto il peso dell'amore
molto lenta a capire
e svelta a benedire.

Così, figli miei,
una volta vi hanno buttato nell'acqua
e voi vi siete aggrappati al mio guscio
e io vi ho portati in salvo
perché questa testuggine marina
è la terra
che vi salva
dalla morte dell'acqua.