Il fischio finale al Diego Armando Maradona, al tempo San Paolo di Napoli, costruisce ponti ideali tra il sogno ed il faceto.

Passione e sport si uniscono e vengono rappresentate dalle lacrime del figliol prediletto della Campania. Lorenzo Insigne chiude la carriera con gli azzurri da capitano, idolatrato dai tifosi grazie ad una campagna mediatica contro la presidenza. Veramente la società avrebbe dovuto piegare la testa ed abbassarsi alle richieste del Suo giocatore simbolo? Bandiera tra i passanti diventato unicum nel suo genere con un 24 stampato dietro la maglietta e molti "scugnizzi" con quel nome: Lorenzo.

La realtà è un'altra e si scontra con il periodo storico in cui chiunque si affida al divin denaro. La nuova avventura milionaria in Canada e quelle lacrime che, in realtà, appaiono false viste le vicissitudini. Sono finiti i tempi di Nesta, costretto a lasciare la sua Lazio per non vedere fallire la squadra; terminata l'epoca dei Tommasi che si abbassa lo stipendio per riconoscenza. Insigne non è Del Piero, andato via per divergenze societarie ma onesto nel dire che cerca una nuova avventura, stesso racconto dicasi per De Rossi diventato "El Tano" in Argentina.

Oggi Donnarumma abbandona la nave rossonera per approdare con la coppa europea al Paris Saint Germain, Lukaku che saluta l'Inter per tornare al Chelsea deludendo le aspettative. Nessuno nega la passione di Insigne per il Napoli ma è lontana l'idea del vero attaccamento alla maglia. La targa degli ultras, il riconoscimento di chi si è riconosciuto in quel ragazzo cresciuto nel quartiere e diventato ciò che chiunque da quelle parti sarebbe voluto diventare. La sfrontatezza di Diego e quel rispetto al D10s non scegliendo un numero sacrale a Napoli. Le strade del piccolo Lorenzo e la compagine azzurra si dividono con due Coppe Italia ed una Supercoppa. Il Canada come chiusura di carriera, per sistemare le finanze (se ne occorreva ancora di più). I tifosi intanto aspettano, lacrime sincere, questa volta di gioia per il coronamento del loro sogno.