Da anni, ormai, nella capitale a sfondo giallo ocra e rosso pompeiano si cerca il bandolo nella matassa per invertire la tendenza negativa.

I tifosi, cercano in maniera quasi ossessiva risultati ambiziosi, che puntualmente vengono disattesi e non raggiunti. Per questi motivi ipotizziamo che i giallorossi entrassero in campo con il sistema di gioco precedente all'era Chapman: la piramide. Questo modulo di gioco, pardon giuoco, è una delle prime tattiche insediate nel settore calcistico. 2-3-5, con una squadra a trazione anteriore ed i due esterni d'attacco in grado di scendere fino a centrocampo.

In porta rimarrebbe, ovviamente, Pau Lopez a dare certezze tra i pali ed a garantire sicurezza al “mini-pacchetto” arretrato. Al centro della difesa, verosimilmente, troviamo Mancini e Smalling pronti ad abbassare le saracinesche contro le scorribande avversarie. In mediana avremo Veretout, uno dei pochi in grado di essere determinante sia nelle manovre di impostazione che di rottura. Mkhitaryan e Cristante (o Pellegrini) vanno a completare il reparto garantendo quel brio offensivo, tanto amato dagli appassionati della Piramide. In avanti troviamo le sorprese più attese: Florenzi e Kolarov verrebbero spostati in avanti avendo compiti d'offesa e d'appoggio all'unica punta (Edin Dzeko). Al fianco del centravanti verrebbero posizionati Zaniolo e Kluivert (o Under in alternativa). Soluzione vintage e alternativa e, con assoluta certezza, irrazionale ma dalle sfumature romantiche. Appare ovvio, agli occhi dei più, il lato rivoluzionario dell'applicazione di questo modulo che rischia di pregiudicare ancora di più il cammino della Roma.