“Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me.” Così parlò Fabrizio De Andrè in una delle pochissime interviste che ha concesso nel corso della sua vita. Basta però digitare il suo nome su internet per trovare iniziative di ogni tipo, dal dedicargli una scuola o una piazza, ad un dibattito in qualche circolo fino a concerti e spettacoli in sua memoria, per rendersi conto che De Andrè, nonostante oggi siano passati esattamente 16 anni dalla sua scomparsa, è stato tutt’altro che dimenticato, anzi è forse insieme a Battisti, morto per uno strano segno del destino pochi mesi prima di lui, il cantautore più vivo e più attuale in assoluto.

 

Faber scoprì la strada della musica un po’ per caso. Inizialmente si era infatti, iscritto a giurisprudenza, che abbandonò a pochi esami dalla laurea, per provare a percorrere quella strada che poi si è dimostrata appartenergli più di tutte. Determinante per la scoperta di questa grande passione fu l’ascolto di George Brassens, del quale De Andrè ha tradotto anche alcune canzoni e le ha poi inserite nei primi album, e l’amicizia con Luigi Tenco e Gino Paoli con i quali iniziò a suonare nel locale genovese “la borsa di Arlecchino”. La vera popolarità arrivò però qualche anno dopo, nel 1967, quando Mina decise di interpretare “la canzone di Marinella”, un brano basato su un fatto di cronaca (il ritrovamento in un fiume del corpo massacrato di una prostituta morta in circostanze misteriose), che però è stato reinterpretato in chiave fiabesca grazie all’uso di immagini poetiche. Nonostante De Andrè debba il suo successo a questo brano, è forse quello che più si allontana dalla strada che poi intraprenderà negli anni successivi.

Il periodo tra la fine degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta fu estremamente proficuo per l’autore che pubblicò i suoi primi 33 giri. L’album con il quale debuttò è “Tutto De Andrè”, seguito da “Volume I”, nel quale sono contenuti, gli ormai classici, “Bocca di Rosa”, “Via del campo” e  “Preghiera in gennaio”, scritta di getto subito dopo la morte suicida dell’amico Luigi Tenco, nella quale il cantautore si rivolge direttamente a Dio chiedendogli di accogliere l’amico in paradiso insieme agli altri suicidi, che invece sono sempre stati condannati agli inferi dalla tradizione cattolica. Proprio questa sua personale concezione della fede è protagonista di uno degli album più importanti che produsse, ovvero “la buona novella” (1970). In quest’opera, che contiene tra le altre “il testamento di Tito”, l’autore ha interpretato il pensiero cristiano alla luce dei vangeli apocrifi, mettendo in evidenza l’aspetto umano della figura di Gesù ed entrando in polemica con le istituzioni ecclesiastiche. Una tappa importante per la carriera di De Andrè è stata poi la collaborazione con Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani, con il quale ha collaborato poi fino alla morte, che insieme hanno dato vita all’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo” pubblicato nel 1971 e libero adattamento di alcune poesie dell’ “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. L’ispirazione per questo importante lavoro fu data al cantautore dall’incontro con Fernanda Pivano, traduttrice italiana dell’opera

Nonostante ormai avesse pubblicato diversi album, De Andrè non si esibì dal vivo fino alla metà degli anni 70, probabilmente per la costante ricerca di perfezionismo che lo portava a voler proporre dal vivo i brani identici alla versione in studio, senza la minima sbavatura, ma anche per la sua grande timidezza, a causa della quale spesso si esibiva nella penombra o con gli occhiali da sole in viso. La prima esibizione live arrivò nel 1975 nel locale “La Bussola” di Marina di Pietrasanta. Superato l’impatto con il pubblico, decise di iniziare il suo  primo tour, accompagnato da due componenti dei “New Trolls” con i quali aveva collaborato qualche anno prima.

Dopo l’esperienza del tour e con più maturità, De Andrè nel 1978 inizia la collaborazione con Massimo Bubola, con il quale produce l’album “Rimini”. In quest’opera De Andrè affronta temi molto importanti e spinosi come l’omossesualità, l’antimilitarismo e il suicidio (Andrea), l’aborto e la follia (Rimini), la droga, la violenza e la prostituzione (Sally) riuscendo a descriverli con una chiave poetica e con un tono fiabesco, elementi che uniti ad un grande lavoro musicale danno vita a dei brani molto emozionanti, che non possono passare inosservati alle orecchie degli amanti della musica cantautoriale e che sono diventati classici del repertorio di Faber. Dopo il grande successo di “Rimini”, De Andrè decide di dare voce alla realtà mediterranea e di incidere un disco completamente in genovese e da vita nel 1984 a  “Crueza de ma”, che segna una svolta nella sua carriera in quanto da questo momento prediligerà il cantare in dialetto.

Negli anni 80 ha iniziato una  tourneè  accompagnato dalla PFM , con cui aveva degli album arrangiati da Mauro Pagani. Nel 1998, oltre a Faber, si sono esibiti i figli Luvi e Cristiano e formidabili musicisti dando vita ad un tour straordinario che ripercorrevano la carriera del cantante dagli esordi fino agli anni novanta. Dopo pochi mesi però Faber ricevette la notizia della malattia e in poco tempo, l’11 gennaio del 1999, è venuto a mancare, lasciando un grande vuoto. Sedici anni dopo possiamo però dire con certezza che manca solo fisicamente, ma che la sua anima vive ed è sempre presente grazie alle splendide poesie che ci ha lasciato e con le quali si è guadagnato l’eternità.