Lo scorso 15 febbraio prendeva finalmente vita Racines, secondo album del duo che si presenta con il nome di “C’mon Tigre”. 

I due, avvezzi all’anonimato, costituiscono il nucleo artistico di un progetto che non può essere inscritto unicamente in loro stessi, ma che anzi li contiene e li modella attraverso una mescolanza di personalità artistiche, uomini, persone; prima ancora che interpreti ed esecutori.

Sul loro sito web si può leggere (rigorosamente in inglese): “Non esiste un solo luogo, esistono molti luoghi. Non esiste un solo volto, esistono molti volti. C’mon Tigre prende vita nel bacino del Mediterraneo e si espande fino agli angoli delle metropoli mondiali. C’mon Tigre parla del fascino dell’Africa, contenuto in una storia che si articola lungo una linea curva da San Diego fino a Bombay.
C’mon Tigre sono due persone ma allo stesso tempo è un collettivo di anime
.”

L’ambiguità avvolge dunque i caratteri fondanti di ciò che chiamiamo “C’mon Tigre” già a partire da chi e quanti ne facciano parte. Lascia però intravedere alcune connotazioni importanti: prima di tutto, si presenta con coordinate geografiche che prendono vita dal mar Mediterraneo, ma che in esso non si esauriscono e puntano anzi ad una forte transnazionalità. In secondo luogo, l’affermazione del debito che il gruppo percepisce verso l’Africa ed il suo racconto, che si dispiega nel tempo e nello spazio fino a formare le radici sulle quali si poggia.

Radici, o “Racines” in francese, innalzate non a caso a titolo del succitato album.
Ma chi condivide queste radici? Dove ci hanno condotti e soprattutto, fino a dove ci condurranno?
Molte sono le domande a cui, a mio avviso, il disco pretende di rispondere e lo fa ripercorrendo la storia, la politica, la geografia e l’espressione artistica di ciò che siamo diventati; con ambiguità, rispetto ed eleganza.

Non sono solo due persone ad essere indagate, ma l’umanità tutta.
Non c’è un genere musicale capace di definire la cifra stilistica qui messa in campo, è anzi necessario andare sempre a sovrapporre alla musica una fortissima componente visiva, che conferisce al lavoro una mai banale capacità dinamica; ipnotica; extraterritoriale; universale; umana. Impossibile non citare almeno alcune delle collaborazioni artistiche di cui si avvale il progetto, racchiuse in un booklet di ben 84 pagine disponibile con il formato vinile: Harri Peccinotti, Boogie, Mode 2, Sic Est, Ericailcane, Maurizio Anzeri, etc.
Non sono le radici individuali che vengono qui esplorate, ma quelle collettive, ecumeniche, (ancora una volta!) umane.

Oggetto di questa indagine, destinazione di questo viaggio, motore di questa ricerca altro non può essere quindi che l’umanità tutta, intesa non come insieme totale delle persone che abitano il nostro pianeta, ma più precisamente come tutte le componenti che indissolubilmente legano, animano e muovono queste persone.
L’internazionalità (o meglio, “l’universalità”) fortemente ricercata dal progetto si esibisce non solo attraverso la promulgata sinestesia percettiva, ma anche grazie alla capacità di nascondere e mimetizzare gli individui che suonano, cantano, e in generale si esibiscono nei C’mon Tigre: non servono nomi; non serve riconoscere la voce di chi canta, ovattata ed all’occorrenza computerizzata; spesso (forse) non serve nemmeno capire quali parole questa voce abbia scelto di usare.
Ciò che serve far emergere è l’intenzione, l’unica in grado di raccogliere omogeneamente le menti e le anime che compongono il progetto.

Un coerente esempio di questa “sottomissione” esercitata dai musicisti verso la musica, ci è fornito dalla scelta di non esplicitare neanche i numerosi (e pregevoli) nomi che impreziosiscono le collaborazioni del disco: tra i quali Pasquale Mirra, Beppe Scandino, Mirko Cisilino, Marco Frattini, Jessica Lurie, Amy Denio, Sue Orfield, Tina Richerson, Mick Jenkins.

Nulla va esplicitato, perché ciò a cui si fa riferimento sono proprio le componenti più implicite e sottintese in ognuno di noi.

Il Racines Tour, con il quale stanno presentando il disco a tutta Italia, li ha già condotti a Bologna, Milano, Roma, Terlizzi e Torino, più precisamente all’Hiroshima Mon Amour, dove abbiamo potuto assistere all’esibizione: le atmosfere evocate dal disco trovano assolutamente riscontro nell’esperienza dal vivo. Nonostante tutti i discorsi fatti sulla concezione collettiva del gruppo rischino di crollare sotto al palco, quando davanti ai nostri occhi abbiamo le persone che compongono i C’mon Tigre presenti in carne ed ossa, muscoli e sorrisi, in grado di tradire la loro mera esistenza fisica; tutti gli elementi scenici e strumentali collimano alla perfezione con la surreale sensazione di non poter individuare alcuna sorgente sonora e/o energica davanti a noi. La voce, soffusa, incomprensibile, sembra provenire da un megafono, in lontananza, fuggevole tra le note e le ritmiche incessanti; le luci incanalano i nostri in cunicoli che li estrapolano dal resto del palco per mostrarli in figure solitarie ed autonome.
Siamo di nuovo, anche dal vivo, proiettati verso un altrove esotico, dal sapore d’Africa e dal gusto mediterraneo, che nulla (o quasi) ha a che fare con la Torino che ci circonda in questo momento.

Tanto vale, allora, chiudere gli occhi e lasciarsi ipnotizzare.

 

Racines Tour:

22-02 BOLOGNA – TPO

28-02 MILANO – Santeria Social Club

09-03 ROMA – Monk

10-03 TERLIZZI (BA) – MAT

14-03 TORINO – Hiroshima Mon Amour

15-03 PADOVA – Hall

22-03 BRESCIA – Latteria Molloy

23-03 FIRENZE – Auditorium Flog

29-03 RAVENNA – Bronson