Dieci maggio: il "Tour D'addio" degli Elio e Le Storie Tese passa per l'Unipol Arena di Bologna, resa per l'occasione funebre cornice. Il concerto è solo una tappa del tour che segue il "Concerto D'addio" dello scorso diciannove dicembre e che impegna il gruppo “defunto” fino a fine giugno in un giro di estremi saluti ai fan.

Quando arriviamo all’interno dell’Arena ci rendiamo subito conto che non si riempirà: le persone continuano ad entrare, ma gli ingressi sono di sicuro al di sotto delle aspettative. Al grido di: «peggio per loro, così per noi si vede pure meglio!» attendiamo trepidanti la comparsa del “complessino degli Elio e Le Storie Tese”, come a loro piace definirsi.

Dopo circa un quarto d’ora di ritardo rispetto all’orario prestabilito, le luci si spengono e sul fondale del palco compare un’enorme croce che accompagna l’ingresso di Faso, Christian Meyer, Vittorio Cosma, Paola Folli, Cesareo, Diego Maggi, Juntoman e ovviamente Elio. Metabolizzata ormai la sonora assenza di Rocco Tanica. «Fratelli e sorelle, siamo qui riuniti oggi per celebrare la prematura scomparsa del defunto complessino degli Elio e Le Storie Tese. Allora, tutti insieme, preghiamo», e si intona la preghiera: «Osteria numero dieci, in ginocchio sopra i ceci…».  Quanto ci mancheranno.

Dopo questa breve Omelia si inizia sul serio e sin da subito si percepisce che piega prenderà la serata: Servi Della Gleba apre le danze. Quando arriviamo al finale in cui Faso prende la parola, commozione e nostalgia. Sensazioni che ci accompagneranno per tutta la serata, insieme (inevitabilmente) a goliardia ed entusiasmo che contraddistinguono i loro concerti.

A questo punto Elio ci tiene a tranquillizzare tutti: «per tutti quelli che si staranno chiedendo che c***o è questo stendardo», prende in mano il vessillo originariamente posto sul proscenio, «sappiate che è la bandiera di Crema, terra d’origine di Feyez. Perché noi ce lo vogliamo portare sul palco per tutto il tour!». E qui i più sensibili già fanno fatica a trattenersi. Per chi non lo sapesse, Feyez è stato polistrumentista del gruppo nei suoi primi anni di attività, fino alla morte che lo colse nel 1998 durante un concerto del gruppo Biba Band, side-project nel quale oltre a Feyez militava anche Faso.

Dopo l’omaggio, si continua con la musica: Burattino Senza Fichi per la gioia di noialtri, prima di passare a La Vendetta del Fantasma Formaggino, che finalmente porta sul palco “l’artista a sé” Mangoni, da sempre beniamino dei fan, indicato dal gruppo come possibile erede artistico. È poi il turno di Cateto: «uno di quei pezzi che abbiamo cantato più di trentacinque anni fa e pensavamo di non cantare mai più. E invece lo cantiamo. E anche voi.» Nel frattempo l’Unipol Arena si è dignitosamente colmata di spettatori, che soprattutto da sotto il palco continuano ininterrottamente a ribadire l’affetto dimostrato in questi trentasette anni di carriera degli Elii.

Prosegue la scaletta Follia della Donna, per la quale Faso si sposta alla batteria (senza mollare il basso), mentre Christian Meyer si posiziona accanto a Paola Folli ed insieme “suonano” delle scarpe col tacco. Dopodichè Fossi Figo ed Essere Donna Oggi anticipano un apprezzatissimo medley che senza interruzioni da Pippero arriva a Discomusic, passando per La Visione e ancora per Vacanze Alternative, la prima dell’ultimo disco, Figatta De Blanc (o meglio: penultimo, contando anche Arrivedorci).

Non si fa in tempo a concludere il medley che già si riparte col suono anni ’80 di Born To Be Abramo. Dopo di lei, T.V.U.M.D.B. ed il pensiero nuovamente va a Feyez e al suo assolo di sax che introduce il pezzo. Alle lacrime manca tanto così. È il turno di un altro degli inni del repertorio: Il Vitello dai Piedi di Balsa, con il solito Mangoni che saltella per tutto il palco senza risparmiarsi, prima di arrivare ad uno dei brani più toccanti del concerto: Luigi il Pugilista.

A questo punto Meyer si alza e si porta davanti agli spettatori esclamando: «basta, sono stufo! Sono trent’anni che resto lì nascosto dietro la batteria, mi sento oppresso! Io ho la mia creatività e la mia identità che ho deciso finalmente di mostrarvi: io sono Dj Mendrisio!» e continua: «io propongo uno “Swing Bizzarrone”, dove si uniscono la Tekno, lo Swing anni ’30 e lo Jodel. Lo volete sentire?!». Il resto è l’apoteosi. Quasi impercettibile la difficoltà con cui si muove tra i vari campionamenti, incastrando effettivamente elementi dei vari (e difficilmente coniugabili) generi, mentre il tutto viene presentato sotto la solita veste di estasiata demenza.

Dopo qualche minuto di delirio bizzarrone si torna alla scaletta con Il Circo Discutibile, uno dei singoli del nuovo (e ultimo) disco degli Elio e Le Storie Tese: ArrivedorciPotremmo parlare in tanti modi diversi di questo brano, ma la realtà è che non si può non leggere come una sorta di testamento che il gruppo lascia ai propri fedeli. Una di quelle rare volte in cui si può scorgere in un loro testo un sentimento autentico e autoreferenziale: chiamatela gratitudine, riconoscenza o (perché no?!) incredulità, stupore.

Rendersi conto di quanto questo circo sia cresciuto in tutti questi anni, di quanto abbia significato e, banalmente, di quanto ne avremmo ancora bisogno non è cosa da poco. Un circo che ha spesso puntato sull’eccesso, sullo scherzo, l’eccentricità, senza tuttavia mancare mai di credibilità, professionalità, creatività, gusto. In una parola: il genio. Un circo discutibile, certo, ma indispensabile.

A sugellare l’affetto e la malinconia di questo brano, la voce di Fellini che si muove tra le note finali: «Non ho la sensazione del tempo che passa. Mi sembra di essere fermo, sempre su un palcoscenico con tutte le cose intorno a me pronte: oggetti di arredamento, quadri, persone, sentimenti, colori […] Sono circondato dal buio e dalla luce. Buio in alto e luce attorno. E una serie di ombre che si muove attorno, da sistemare. Mi sembra che la mia vita sia stata… Si sia consumata, si stia ancora consumando in questa immagine.».

Quell’immagine è davanti ai nostri occhi per l’ultima volta.

Ci asciughiamo le lacrime e stiamo di nuovo ridendo: sul palco torna l’inesauribile Mangoni per Il Vitello dai Piedi di Balsa Reprise, prima di vestirsi da aviatore nei panni di El Pube, sconclusionato protagonista dell’omonima canzone. A ritmo di salsa l’artista a sé si cimenta sotto il palco nel complicato ruolo di creatore di trenini, seguito da una fila indiana di spettatori che si uniscono man mano. Ancora un paio di classici poi: Uomini col Borsello e Carro. Il pubblico apprezza visibilmente. Ci avviciniamo alle battute finali, ma senza neanche poterci pensare troppo ci ritroviamo tra i bonghi di Parco Sempione: «l’unica canzone che abbiamo mai dedicato alla nostra città, Milano».

Giungiamo ora al “momento Sanremo” della scaletta: Gli Elii hanno sempre dichiarato di puntare al penultimo posto in ogni edizione del festival a cui hanno partecipato. «Con questa abbiamo sbagliato quasi tutto: nel 2013 siamo arrivati secondi.». La Canzone Mononota resta a giudizio di chi scrive una delle canzoni più geniali mai portate a Sanremo.

Altro memorabile secondo posto sul podio dell’Ariston, ben diciassette anni prima, nel 1996 lo registrò La Terra dei Cachi: dipinto dolceamaro dell’Italia e degli italiani in particolare, che rimase primo nelle classifiche temporanee del festival fino alla seconda posizione maturata solo nella classifica finale, innescando forti polemiche e sospetti (che verranno confermati in seguito dalle indagini dei Carabinieri). «Qui abbiamo addirittura rischiato di vincere. Un disastro!».

Appena termina la canzone Mangoni è di nuovo sul palco, munito di mantello e tuta aderente sulla quale spiccano le lettere “SG”. Può voler dire solo una cosa: Supergiovane. Il supereroe che combatte il governo e i matusa è più in forma che mai e si guadagna l’ovazione dell’Unipol Arena. Le luci si spengono e i nostri escono dal palco, prima di tornare per il bis affidato come sempre all’intramontabile TapparellaPrima o poi questo momento doveva arrivare: accendini in aria e il coro “Forza Panino!” cantato a squarciagola per l’ultima volta.

Tra la commozione e l’incertezza, tra il timore e la voglia di non crederci davvero, facciamo i conti con questo “ennesimo scherzo degli Elii”, che ci guardano ora da sopra il palco, stanchi e felici dopo tre ore di concerto. Non ci diciamo “addio”, ma “arrivedorci”.

Mentre ci sforziamo di non assecondare le lacrime di Paola Folli, fissiamo questo momento nella nostra memoria e già ci intravediamo nei focolari di domani, intenti davanti al caminetto a raccontare ai nostri nipoti di chi fossero questi bizzarri personaggi e di quanto fosse bella la storia che per trentasette anni hanno saputo raccontare.

Ancora ipnotizzati, si accendono le luci ed iniziamo a percepire della musica dagli altoparlanti; è allora che a conclusione di quest’immagine interviene proprio l’ultimo singolo dell’ultimo disco, Arrivedorci:

«Una storia unica, una carriera artistica

Dolcemente stitica, ma elogiata dalla critica.

Ma ogni storia si esaurisce col finale,

Un finale che ti lascia a bocca aperta:

Dall’ampiezza della bocca si capisce se il finale era valido.

Vi salutiamo e vi diciamo: “arrivedorci!”

Come nel film di Stanlio e Ollio, che ridere!

Siamo al tramonto, siamo giunti ai titoli di coda

Di una storia unica, una bella musica,

Una scelta artistica di origine domestica.

E questa storia unica ha una fine drastica,

Leggermente comica.

Arrivedorci!». 

Dunque, arrivedorci!