Hello, Monk Club! How You Doin’?” pronuncia una voce meccanica, vera e propria emanazione dei tre ragazzi inglesi che si presentano con il nome di Public Service Broadcasting.

La band, di base a Londra, è formata da J. Willgoose, Esq. (chitarra, strumenti a corde in generale e sampling), Wrigglesworth (batteria, piano e strumenti elettronici) e J F Abraham (basso, percussioni), i quali si presentano agli occhi del pubblico con indosso cravatta o papillon, i loro strumenti e l’inconfondibile aria da gentlemen che li contraddistingue. La carica di J F Abraham fa in effetti da eccezione ad una compostezza invidiabile, che gli altri due terzi del gruppo non perdono neanche per un momento.

Da quando compaiono sul palco fino alla fine del concerto, le interazioni tra loro sono minime; mentre quelle con il pubblico sono nella quasi totalità dei casi affidate alla voce meccanica che li presenta e che li accompagna anche nell’esecuzione dei brani. Nelle loro canzoni infatti non cantano mai, (a tale proposito il cantante Willgoose ha affermato: “Non riesco ad essere felice con il canto, non riesco ad essere a mio agio proponendolo ad altre persone.”). Ad accompagnare le strumentali sono campionamenti audio visivi ricavati dagli archivi inglesi e dal British Film Institute in particolare, con il quale svolgono una collaborazione.

“Insegnare le lezioni del passato tramite la musica del futuro”, si legge sul loro sito. La loro musica è infatti dedicata al passato, specialmente a quelle rivoluzioni che hanno in qualche modo modificato per sempre la consapevolezza dell’umanità: Inform Educate Entertain (2013) riporta racconti, promesse e speranze che derivano da storie quali la prima spedizione che scalò il monte Everest, la costruzione dello Spitfire, o la nascita della tv a colori; The Race for Space (2015) ripropone invece l’entusiasmo e la competizione che hanno accompagnato la conquista dello spazio; Every Valley (2017) torna invece sulla terra, a partire dalla coltivazione di carbone nelle valli del Galles meridionale, che viene presa come spunto in grado di riportare l’ascoltatore alle scelte umane e politiche, che si resero necessarie alla rivoluzione industriale che sconvolse l’Europa.

Sul palco del Monk Club, i PSB ripropongono brani da tutti e tre i dischi, suonando appena un’ora e un quarto circa, ma senza far mancare niente allo spettatore: l’intensità con la quale vengono eseguiti i brani, insieme alla capacità suggestiva dei video che accompagnano ogni esecuzione, fanno sì che ci si ritrovi immersi in una sorta d’ipnosi collettiva, che non prevede scioglimento.
Gli ipnotici riff di chitarra di Willgoose, con la ripetitività dei calzanti giri di batteria di Wrigglesworth, si fanno strada nella mente dell’ascoltatore fino a portarlo via da sotto il palco, per muoverlo a loro piacimento verso storie che sembrano antichissime, registrate su diapositive in bianco e nero e raccontate da voci lontane nel tempo, ma che contengono invece sempre un riconoscibilissimo sentore d’attualità.

L’uniformità sonora e stilistica del trio, insieme alla capacità evocata nella loro produzione artistica di muoversi nel tempo e nello spazio, ed insieme anche alla scelta di lasciare al computer il compito di comunicare con il pubblico, rendono il concerto dei Public Service Broadcasting molto più simile ad un contatto alieno, che non ad un’esibizione musicale.
Arrivano da noi come creature docili ed eleganti, che ci raccontano di storie e leggende che a stento riusciamo a comprendere, ma le quali inevitabilmente ci arricchiscono di una profonda saggezza indispensabile per poter guardare il mondo con gli occhi critici di chi non si trova immerso nel mutamento, ma piuttosto ne rimane al di sopra, così da poterlo spiegare.