“Il Trio Bobo è quel piccolo ‘gioco’ dove noi possiamo ritrovarci a suonare quello che amiamo e che cerchiamo di difendere dal mostro della musica commerciale, dalla musica moderna che ormai non riusciamo quasi più a seguire. E’ una via di fuga che ci dà l’ossigeno e la motivazione per continuare a suonare con i nostri strumenti, a cercare di migliorare musicalmente, a metterci sempre alla prova. E’ una specie di laboratorio familiare…”

Nei giorni di tumulto nella scena musicale italiana, segnata dalla recente ufficializzazione dello scioglimento degli Elio e Le Storie Tese, troviamo due sesti del gruppo (il bassista Nicola ‘Faso’ Fasani e il batterista Christian Meyer, ai quali si aggiunge lo storico chitarrista di Paolo Conte: Alessio Menconi) impegnati nel progetto Jazz Fusion (e molto altro ancora) che prende il nome di Trio Bobo.

Prima d’iniziare prende il microfono Christian Meyer, che va a presentare i musicisti: “Faso lo potreste conoscere già come componente della sezione ritmica degli Elio e Le Storie Tese, della quale anch’io faccio parte. Alessio invece l’abbiamo trovato al porto di Genova, dove da solo suonava accanto ad un’ancora dismessa una chitarra con una corda sola. Noi cercavamo un chitarrista medio che costasse molto poco e ci hanno consigliato lui. Non è bravissimo, ma impara in fretta”.

Perfetto. Circa dieci secondi per rompere il giaccio. E continua: “Chi di voi era qui l’anno scorso sa che… Ecco, abbiamo suonato male. Molto male. Tecnici, si, tecnici, ma poco cuore.”.

Viene inaugurato così l’ennesimo ritorno del Trio Bobo al Bravo Caffè di Bologna, a quasi un anno dalla presentazione nello stesso locale del loro ultimo disco: Pepper Games, uscito lo scorso 4 novembre.

Seguiranno circa due ore di esibizione ad altissimi livelli: il trio esegue i brani del disco più familiari al pubblico, oltre alle cover (chiamati in causa Ultramarine e Leonard Bernstein) e ai numerosi omaggi al mondo della musica in generale che arricchiscono le loro composizioni, tra cui quello a James Brown: Christian: “Volevamo omaggiare il grande James Brown - Faso: “Che magari conoscete con lo pseudonimo di Giacomo Marrone”- Ma abbiamo deciso di farlo con un brano in 7/4. Se lo ascoltasse probabilmente tornerebbe per ucciderci”.

Il concerto va avanti lasciandoci senza parole quando si suona e senza fiato quando si scherza, tra le risate e gli applausi che non sanno più quando lasciare spazio alla musica, in un locale colmo d’affetto e simpatia, che agiscono verticalmente da e verso il palco.

Muteranno in sorpresa e perplessità quando di nuovo Christian Meyer si rivolgerà al pubblico: “Il prossimo pezzo tenta di riproporre delle ritmiche Samba brasiliane, ma noi di brasiliano abbiamo davvero poco. Non è che tra di voi c’è qualche esperto di percussioni e ritmiche brasiliane, per caso?!”

Neanche il tempo di finire la frase che dal fondo della sala fuoriesce un eccentrico percussionista che scopriremo essere Paolo Caruso, il quale senza troppe spiegazioni gli risponde invitandolo ad un feroce duello a colpi di rullante che li impegnerà per diversi minuti, prima di risolversi naturalmente coinvolgendo il resto del complesso. I quattro rimangono allora sul palco per guidarci verso le fiammate finali del concerto, che elargisce ancora grande entusiasmo prima di esaurirsi.

C’è ancora tempo per il bis e per ringraziare il locale che li ospita: “Grazie al Bravo Caffè che continua a darci la possibilità di suonare, soprattutto ora che dopo numerose esibizioni di scarsissimo livello non ci chiama più nessuno.”.

Gli applausi infine sembrano non voler smettere, quasi a costringere i musicisti a restare sul palco, ma i nostri riescono comunque ad abbandonare le postazioni per dirigersi verso un tavolino adibito alla vendita e agli autografi del disco.

Qui risulta evidente ciò che tutto il locale ha percepito per tutta la sera: la grandezza del Trio Bobo non è dovuta solo alle impressionanti capacità tecniche di tre artisti (che pure non devono temere alcun tipo di confronto), ma anche e forse soprattutto alla loro umanità ed umiltà, capaci di annullare ogni tipo di distanza che può intercorrere tra artista e spettatore, rendendo universalmente godibile un genere musicale altrimenti di difficile assimilazione.

Nonostante i brani non presentino linee vocali tutti e tre arrivano spesso e volentieri a parlare e scherzare al microfono negli intermezzi tra un brano e l’altro, mettendo in mostra ogni volta l’umorismo e la spontaneità che li accomunano, rendendo di conseguenza difficile individuare tra loro un leader o frontman (nonostante forse la prevalente incisività di Christian Meyer); ricordano inoltre al pubblico che non sta solo godendo di una sontuosa esibizione di tre musicisti, ma anche di puro intrattenimento fornito da tre uomini. Persone in carne ed ossa pronte a scambiare sorrisi e battute con chiunque alla prima scusa, qualità per niente scontata per artisti del loro calibro.

Così, soddisfatti e sorridenti diamo la buonanotte a “il trio che si fa in quattro”, augurandoci di rivederli presto.