Scritto da Martina Rella e Alessandro Maria Savoia
Foto: Matchnews

Roma – In occasione del primo appuntamento di una serie d’interviste, che vedrà la redazione di Matchnews ospitare alcuni tra gli esponenti di spicco del giornalismo italiano, abbiamo incontrato Carlo Zampa. Giornalista capace, ormai dal lontano 1985, di utilizzare tutti i mezzi di comunicazione con grandi risultati, dalla radio al giornale, dalla televisione al web, storica “voce” dell’AS Roma, Zampa occupa un posto privilegiato nel cuore dei tifosi della Roma e non solo.

Lei ha iniziato la sua carriera nel 1985 a Rete Oro con la televisione, e nel corso della sua lunga carriera si è misurato con diverse forme di comunicazione giornalistica: dalla radio al cartaceo passando per il web. Quale secondo lei è il “medium” che risulta essere più diretto per chi s’interessa di sport?

 Sicuramente la forma di comunicazione più diretta è la radio, perché arriva immediatamente. Il giornale, in qualunque forma, dev’essere inevitabilmente di approfondimento. Il quotidiano ad esempio si poggia su notizie del giorno prima quindi deve andare per forza ad approfondire tali notizie e questo vale per qualsiasi tematica, dalla cronaca allo sport. Oggi è molto importante anche il web che non ha soppiantato la radio, ma gode della stessa immediatezza e insieme ad essa è sicuramente il mezzo più facilmente fruibile: con i cellulari possiamo connetterci ovunque e in qualsiasi momento. La televisione per esempio ha dei limiti da questo punto di vista perché non ne puoi usufruire ovunque e sempre. Ogni forma di comunicazione comunque ha i suoi lati positivi e negativi, sono tutte ugualmente importanti.

Quanto l’attività giornalistica, nel suo caso specifico la Roma, ha condizionato la sua vita, nel bene e nel male?

Per me la Roma è prima di tutto una passione e come tutte le passioni inevitabilmente possono condizionare la tua vita. Io dico che condizionano sempre positivamente perché la passione è essenzialmente qualcosa di positivo. La Roma vive con me da quando sono nato, mio padre addirittura ha giocato nella Mater, un’antica società romana, insieme a Fulvio Bernardini: la Roma in casa Zampa c’è sempre stata. Io sono riuscito a fare della mia passione un lavoro: ero abituato per esempio, da ragazzo quando andavo a vedere le partite della Roma, a fare da solo le cronache della gara dando magari fastidio a chi era seduto lì intorno. Iniziando a lavorare con le prime emittenti non ho fatto altro che dare un seguito alle mie passioni che hanno sì condizionato la mia vita, ma sempre in positivo.

A noi che siamo agli inizi dell’avventura con il giornalismo che consigli puo dare? Come si diventa Carlo Zampa?

Innanzi tutto dovete diventare giornalisti, poi potete diventare molto meglio di Carlo Zampa (ride ndr). La cosa fondamentale è avere una preparazione di base e quindi studiare molto. Poi cercare di fare molta pratica, da accompagnare a molta umiltà. Soprattutto quest’ultima è molto importante. Oggi è facile, non appena si ha un microfono in mano, una telecamera davanti, sentirsi già arrivati. Non è assolutamente così. Bisogna avere l’umiltà di fare molta gavetta e di saper apprendere dalle persone più esperte che ci circondano.  Secondo me è poi importante al giorno d’oggi non andare necessariamente alla ricerca dello scoop. E’ meglio arrivare a dare una notizia in maniera corretta e voler fare notizia a tutti i costi e poi perdere di credibilità. E’ molto importante essere coscienti del grande potere che ha un giornalista e quindi avere rispetto dei fruitori del servizio che si offre.

Una cosa che la caratterizza e ha caratterizzato gran parte della sua carriera sono i soprannomi che ha dato nel corso del tempo ai calciatori. Li crea in maniera istintiva o sono frutto di un lavoro legato all’immagine del calciatore e al ruolo che svolge all’interno della squadra?

Io non ha mai preparato nulla di quello che faccio. Anche quando faccio le radiocronache pronuncio frasi che a fine partita neanche mi ricordo e le vado a risentire perché magari qualcuno me le ha segnalate. Seguo molto l’istinto e mi lascio guidare soprattutto dalla passione. Il fatto che io faccia le cronache per i tifosi della Roma mi dà la possibilità di potermi lasciare andare. Sicuramente se le facessi su scala nazionale mi dovrei contenere di più. Poi da buon romano tendo a dare soprannomi a tutti. E’ un modo ovviamente di dimostrare anche affetto. Non a tutti l’ho dato. Mi deve venire al momento.” 

Qual è secondo lei il soprannome più calzante che ha attribuito ad un calciatore?

Cafù che ho soprannominato “pendolino” è rimasto con questo appellativo per tutta la carriera calcistica. Anche Damiano Tommasi con “Anima candida della Roma” credo di averlo caratterizzato bene. Ha chiamato la sua azienda vinicola con questo nome.

Due pilastri della Roma sono stati sicuramente Falcao per chi ha vissuto il calcio negli anni ottanta e Totti per chi invece l’ha vissuto dalla metà degli anni novanta in poi. Se lei dovesse scegliere tra questi due campioni?

Totti tutta la vita. Lui è romano, romanista, di San Giovanni che è anche il mio quartiere. E’ l’emblema della romanità. È un altro che dà soprannomi a tutti proprio perché rappresenta l’essenza del romano. Per me lui rimane il giocatore più forte di tutti i tempi. E’ un fuoriclasse assoluto. Purtroppo non credo che ce ne saranno altri. Io ho la fortuna di poter dire di averlo raccontato con il mio lavoro. La sua prima partecipazione televisiva l’ha fatta a sedici anni a Rete Oro. Un ragazzino estremamente timido, che aveva scritto in faccia che sarebbe diventato un grande. Lo dimostra tutt’ora, nonostante i problemi fisici che ha, con la serietà che mette negli impegni quotidiani, negli allenamenti. Questo anche grazie al grande lavoro che fa Vito Scala nel seguirlo come preparatore personale. Fondamentalmente lui è un fuoriclasse che ha avuto la fortuna di avere una famiglia straordinaria alle spalle che lo ha guidato e lo ha mantenuto umile. Lui è rimasto lo stesso nonostante il successo. Io dico sempre che Francesco è superiore a Totti. Totti è un campione, ma l’uomo Francesco è ancora più grande.

Come ha già accennato, Totti è in una fase di chiusura della carriera. Per quanto possa essere difficile, bisognerà pensare a qualcuno che possa ricoprire il suo ruolo. Sia da un punto di vista tecnico che da un punto di vista di sostegno della squadra nel ruolo di capitano. Chi potrebbe essere questa persona?

Totti non è sostituibile, al massimo si può pensare ad un surrogato. Adesso come capitano al suo posto c’è Daniele (De Rossi ndr). Mi auguro che dopo di lui possa esserci Florenzi, anche lui romano e romanista che mi auguro rimanga sempre alla Roma. Anche da un punto di vista tecnico è molto difficile sostituirlo. A me piacerebbe molto Jovetic, che forse potrebbe ricoprire quel ruolo. Poi è molto giovane e può ancora crescere. Però per me Francesco è insostituibile. Non so neanche se avrò la forza di andare alla sua festa di addio al calcio. Per me sarà un dolore infinito. Lì ci saranno tutti i più grandi del calcio a rendergli omaggio e spero che gli possa essere dato il pallone d’oro alla carriera. Speriamo magari nel figlio Cristian.

In questo momento di defaillance che sta avendo la Roma, il primo ad essere stato messo in discussione, è stato come sempre Totti.  Sia dalla stampa, ma anche dai tifosi. Pensa che lui abbia maggiori responsabilità rispetto ad altri oppure viene utilizzato come capro espiatorio?

Sicuramente viene utilizzato come capro espiatorio. Per me è assurdo che venga attaccato e criticato dai tifosi romanisti, oltre che dagli altri. E’ stato bellissimo quando a Milano si sono alzati tutti in piedi per applaudirlo. Lo apprezzano da altre squadre, e noi che abbiamo la fortuna di averlo lo critichiamo. Francesco è un valore assoluto della Roma. Sicuramente anche lui può avere delle giornate no, però da qui a criticarlo, a dire che la Roma non compra buoni giocatori perché lui teme il confronto è assurdo. E’ sempre stato uno che ha chiesto grandi campioni e non è stato accontentato. Chi è veramente della Roma e sa come stanno le cose, non lo critica.

Parlando sempre di questo momento della Roma, la società inizialmente non ha preso provvedimenti. Salvo poi mettere i giocatori in una sorta di ritiro “light”. Crede che sia stato fatto tutto nel modo giusto o sono stati commessi degli errori?

La società secondo me ha delle grosse responsabilità per quello che è successo quest’anno.  Lo scorso anno ha fatto un ottimo lavoro, soprattutto nella scelta di Garcia. In questa stagione hanno sbagliato. Il ritiro light è un po’ una farsa e prendere provvedimenti a tre giornate dalla fine non è risolutivo. I segnali ci sono stati. Bisognava intervenire prima, invece di negare la situazione reale. Poi la campagna di gennaio è stata una campagna di indebolimento. Bisognava cercare di completare un po’ il mosaico della rosa, invece è stato fatto un disastro e inevitabilmente qualche rapporto interno è venuto meno. Poi grande peso hanno avuto l’infortunio di Castan, la vendita di Benatia, voluta dalla società che alla fine l’ha mandato via, e sicuramente anche l’infortunio di Strootman, che per me dopo Totti è il più grande fuoriclasse della Roma. Lì qualcosa è andato male nell’intervento sicuramente. Inoltre, si poteva e doveva prevedere il problema di Maicon.

Passiamo invece all’argomento derby. Ci sono state molte polemiche e molta ironia sul web per la decisione di spostare la partita a seguito della richiesta avanzata da Lotito a causa della finale di Coppa Italia. Come la vede questa cosa?

E’ una cosa che ha voluto Lotito che ormai è il padrone del calcio italiano. Lui da presidente della Lazio ha chiesto il permesso al Lotito dirigente, ma di fatto presidente, visto che Berretta, come ha ammesso Lotito stesso, conta molto poco nella Lega. Ha tre telefonini e si è chiamato da uno all’altro da solo. Se l’è cantata e se l’è suonata. Il problema è però chi glielo ha permesso e continua a permetterglielo. Il calcio di problemi ne ha tanti, ma siamo rappresentati da dirigenti che non agiscono in maniera cristallina. Negli anni non si è mai data la possibilità di diventare presidente federale ad un uomo come Gianni Rivera, che secondo me sarebbe stato un emblema assoluto. Ma chi non fa parte di un certo giro di interessi viene inevitabilmente messo da parte.

Lei ha visto tante “Rome”, sia inizialmente da tifoso che poi da giornalista. Qual è la formazione che le è rimasta nel cuore?

E’ inevitabile dirti la Roma del terzo scudetto. Quella l’ho vissuta a 360 gradi. Ero anche speaker dello stadio. Avevo dei contatti diretti. E poi è stata una Roma vincente. E’ stata molto piacevole anche quella di Spalletti che ha dato soddisfazione ai tifosi. Se vogliamo anche quella dello scorso anno è stata una gran bella Roma, che nessuno si aspettava e che ha battuto il record di punti raggiunti. È stato molto bravo Garcia che invece quest’anno si è perso nella risoluzione delle difficoltà.

A proposito di Garcia: questo è stato il secondo anno del tecnico francese a Roma. Lo scorso anno ha meravigliato molti per le sue capacità comunicative. E’ stato capace di utilizzare la comunicazione a proprio vantaggio. Quest’anno è invece apparso molto spesso in confusione: quali sono a suo avviso i più grandi errori, a livello comunicativo, che Garcia ha commesso in questa stagione?

L’anno scorso Garcia è stato molto capace anche coniando alcune frasi ad effetto, come “la Chiesa al centro del villaggio”, che hanno avuto il giusto impatto. Io ritengo che quest’anno si sia lasciato sfuggire un po’ la situazione di mano, ma devo ammettere che ad inizio stagione ero sicuro anche io, come lui, che la Roma sarebbe stata vittoriosa. Il problema si è presentato però nel momento in cui ci sono state delle difficoltà e lui non è riuscito a gestirle. Inevitabilmente, da quel momento sono venute meno anche le sue doti di buon comunicatore. Ha iniziato, per esempio, rispetto alla scorsa stagione, a spostare le responsabilità su qualche giocatore o su un reparto: ha dimostrato di essere fragile di fronte alle difficoltà e questo ha influito anche sulla comunicazione.

Qual è l’allenatore, da quando si occupa della Roma, che a livello di personalità, anche dal punto di vista comunicativo, le è rimasto più impresso?

Innanzitutto c’è da dire che da quando ho iniziato la mia attività ad oggi sono cambiate molte cose: una volta avevi la possibilità di avere un rapporto diverso con allenatori e giocatori e, soprattutto, potevi avere un rapporto diretto senza grandi difficoltà. Adesso si è molto distaccati invece, forse anche perché molte più persone lavorano in questo campo. Liedholm comunque rimane per me il numero uno: era capace di prenderti amabilmente in giro, quando diceva una cosa molto spesso la verità era all’opposto. Era un personaggio straordinario dotato di una personalità incredibile. Ho avuto un ottimo rapporto anche con Luciano Spalletti. L’importante per me è comunque che un allenatore faccia il bene della Roma: Fabio Capello ad esempio non era un personaggio amabile, però ha fatto vincere la squadra ed è andato benissimo così.

Ringraziandola per il tempo che ci hai concesso volevamo porle forse la domanda più personale tra quelle che abbiamo fatto fino ad ora: qual è la cosa più bella che ha fatto o detto riguardo la Roma?

Certamente l’aver detto tre volte “campioni d’Italia” da speaker della Roma dopo la vittoria dello scudetto: quella volta ho voluto riprendere la storica frase di Nando Martellini dopo che la nazionale italiana conquistò i Mondiali dell’82 Per me è stata la realizzazione di un sogno e non finirò mai di ringraziare Franco Sensi che mi diede la grandissima opportunità di diventare lo speaker della Roma. Un’altra bellissima esperienza, molto divertente, l’ho vissuta durante una trasferta della Roma a Silkeborg in Coppa Uefa: in panchina c’era Zeman, altro grande personaggio. Si giocava in un campo disastrato, uno stadio semideserto. All’epoca lavoravo per Radio Incontro, stavo facendo la cronaca della partita, e decisi di voler provare a fare come Nicolò Carosio, maestro assoluto dei radiocronisti italiani, cioè fare le radiocronache da bordo campo. Iniziai ad avvicinarmi piano piano al campo e feci gli ultimi dieci minuti di cronaca accanto alla panchina della Roma con Zeman che si stava divertendo come un matto. Al gol della Roma strillai e praticamente si sentiva solo la mia voce così a fine partita il mister mi si avvicinò e disse: “Guarda che così me li svegli tutti.”. Ho avuto tante belle esperienze, alcune molto divertenti, ma nessuna può superare quella del 17 Giugno 2001 quando ho potuto urlare che la Roma era Campione d’Italia.

Grazie per la sua gentile disponibilità.

(Roma, 22 maggio 2015)

 

Si ringraziano:

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