Scritto da Zuleca Rienti

I figli, si sa, sono “pezzi di cuore”, soprattutto per un padre rimasto vedovo.

Ma se questi hanno tanti vizi e poca volontà, l’intervento diventa necessario. Questo è l’input narrativo di Belli di papà, commedia italiana piacevole, ma con una regia piuttosto piatta.

Il film è tratto dalla pellicola spagnola Nosotros los nobles diretto da Gary Alazraki e scritta da Adrián Zurita e Patricio Saiz del 2013. I due film sono molto simili ed entrambi rimandano al bunueliano Il grande teschio (El gran calavera) del 1949, in cui un ricco vedovo viene sfruttato dai parenti nullafacenti.

La versione italiana è diretta da Guido Chiesa (Lavorare con lentezza, 2004, Io sono con te, 2010), che ha scritto la sceneggiatura insieme a Giovanni Bognetti. Vincenzo (Diego Abatantuono), ricco uomo d’affari, decide di prendere in mano la situazione per dare una lezione ai propri figli e insegnare loro come ci si guadagna da vivere. Matteo (Andrea Pisani) lavora con lui, ma continua a proporre idee inutili senza dare un supporto reale all’azienda, Chiara (Matilde Gioli) è abituata alla bella vita ed è fidanzata con Loris (Francesco Facchinetti), nullafacente milanese. In ultimo, Andrea (Francesco Di Raimondo) il figlio minore, frequenta l’Università per laurearsi in psicologia, ma non ha dato neanche un esame e per di più, intrattiene relazioni sessuali con donne over 50.

I ragazzi vengono portati in Puglia dal padre, che finge una bancarotta per riunire la famiglia, far loro rimboccare le maniche e iniziare a lavorare sul serio. Lo spunto narrativo funziona, così come la linea comica, che genera spesso situazioni divertenti, come ad esempio, quando Vincenzo è in ospedale per aver quasi subito un infarto e Matteo gli propone di prendere il suo posto in azienda e comprare l’Inter. Ma la comicità si crea solo in alcune situazioni, grazie ai dialoghi. In altre occasioni, spesso, l’esagerazione rovina la verve comica, come ad esempio, la casa in cui la famiglia va a vivere a Taranto, che è talmente malridotta, da non avere neanche un letto. Oppure scegliere lavori come lo smaltimento in discarica, contrapponendoli al lusso di Milano. La storia ha una svolta narrativa tardiva e si corre verso il finale, quando in realtà poteva essere equilibrata e distribuita in maniera più equa.

La regia non ha guizzi creativi, ha un tono definito dall’inizio alla fine. Non c’è ritmo e l’unica forza del film viene affidata alla sceneggiatura e agli attori, che per fortuna se la cavano!Abatantuono regala sguardi che valgono più di mille parole mentre Facchinetti è quasi una rivelazione nel suo ruolo da cattivo della situazione. Pisani è un perfetto bamboccione e alla Gioli calza a pennello il ruolo di Cenerentola disincantata. L’unica interpretazione calcata troppo è quella di Di Raimondo, che ha bisogno di citazioni continue per essere identificato.

Commedia piacevole e leggera, senza elementi degni di particolare nota, ma che rappresenta un piccolo passo avanti per il cinema italiano. Il passo successivo sarà creare qualcosa di nuovo.

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