Scritto da Sofia Bartalotta

Tra l’infinito catalogo di film che ci offre Amazon video, è apparso un titolo che catturerà l’attenzione di molti. Si tratta di Suspiria (2018) di Luca Guadagnino, la rivisitazione della nota fiaba gotica di Dario Argento (1977), che si era ispirato alle pagine maledette del Suspiria De Profundis di Thomas De Quincey.

Toccare un classico di tale portata non è sempre facile, anzi, è soprattutto rischioso, per questo non sono mancati sguardi di perplessità nei confronti della pellicola. Sono due le vie possibili quando ci si accosta ad un classico: attenersi all’originale, pur sempre attualizzandolo, oppure farne una rilettura personale.  È chiaro che Guadagnino abbia scelto la seconda via.

Nonostante l’evidente fascinazione per il mito alla base della storia originale, la leggenda delle tre madri, capiamo che al regista non interessa rielaborarlo. Il film si dimostra essere un’esplicita riflessione personale su maternità, femminilità e senso di colpa. Lo stesso Dario Argento ha definito il Suspiria (2018), non un remake ma un’altra «versione dei fatti» rispetto all’originale.

Nel suo Suspiria, Guadagnino sposta l’attenzione da Friburgo alla Berlino degli anni ’70, quella della trilogia di Bowie e di Christiane F. Se la Friburgo di Dario Argento era una città tenebrosa e poco riconoscibile, nel nuovo Suspiria l’ambientazione berlinese è fondamentale, proprio per il parallelo discorso storico – politico che si vuole portare avanti. La capitale tedesca, nel 1977, è una città sospesa tra due conflitti: la Seconda Guerra Mondiale, che ha segnato per sempre i suoi abitanti, e il terrorismo dei gruppi estremisti di sinistra.

La nostra protagonista Susie Bannon (Dakota Johnson) entra a far parte della misteriosa scuola di danza di Madame Blanc (Tilda Swinton), proprio nei giorni  in cui la banda Baader – Meinhof dirotta un aereo della Lufthansa, prendendo in ostaggio i passeggeri, e una delle ballerine della scuola, Patricia (Chloe Moretz), è sospettata di essere vicina alle idee dei terroristi. L’edificio della scuola di danza grigio e regolare, non lontano dal muro che divide la città, rispecchia l’intera atmosfera diffusa sullo schermo dall’ambientazione berlinese: cieli tetri e bianchi, freddo, foschia, pioggia, temporali perenni e neve. Questi elementi tendono ad accentuare la sensazione di oscurità, ma anche di pericolo, che lo spettatore prova nei confronti della scuola. L’andamento del film, presenta un’insolita lentezza onirica, che viene bruscamente interrotta da frenetiche sequenze accelerate, chiaramente ispirate ad Argento, che si rivelano essere anche le più oscure e raccapriccianti. Il regista scava nell’abisso femminile, la tensione che serpeggia in tutto il corso del film, è costruita  sull’ambiguità di personaggi femminili a tinte forti, sui luoghi che trasudano storia, sui misteri celati dalla scuola, sui riti esoterici e i Sabba, che vengono rappresentanti con una grande accuratezza estetica, e approfondita conoscenza della gestualità, grazie alle coreografie di Damien Jalet.

Le grandi assenti in tutta la pellicola, sono le  inquietanti musiche dei Goblin, sostituite  da quelle di Thom Yorke (candidate ai David di Donatello 2020). Nonostante le origini di Suspiria siano nel genere horror, la pellicola di Guadagnino non spaventa, i brividi sono pochi, anche se  le immagini   disturbanti non mancano.  L’orrore che attrae il regista è  estetizzante, molto più cerebrale che viscerale. Quando nel film compaiono le viscere – quelle vere – la reazione dello spettatore è mediata dall’approccio formale del regista.  Al contrario di Dario Argento, Guadagnino sposta l’attenzione dagli atroci rituali di stregoneria  ad un orrore meno immediato, ma più concreto: l’orrore  della guerra che vive in ogni strada di Berlino, delle vittime e dei sopravvissuti.

powered by social2s