Scritto da Zuleca Rienti

Un timido tentativo di "teen movie" poco riuscito, con luoghi fantastici, da cartolina, a fare da sfondo alle vicende.

Gabriele Muccino abbandona il mondo degli adulti (Baciami ancora, 2010, Quello che so sull'amore, 2013, Padri e figlie, 2015) e torna con questo film, selezionato per la sezione Giardino e presentato all’ultima edizione del Festival di Venezia 2016. Marco (Brando Pacitto), un diciottenne un po’ pessimista che fa discorsi strani sulla morte, si ritrova come compagna di viaggio Maria (Matilda Lutz) la prima della classe. I due ragazzi vanno in America e vengono ospitati da Matt (Taylor Frey) e Paul (Joseph Haro), una coppia gay che vive e lavora lì.

La storia è piuttosto semplice, incentrata sull’estate che i quattro ragazzi vivono insieme. Il legame che si crea tra di loro è bilaterale: Maria si innamora di Matt, mentre Marco instaura un rapporto speciale con Paul. La parte iniziale è statica, piuttosto sottotono rispetto a quella successiva, in cui i ragazzi si danno alla pazza gioia. La visione è appesantita dai sottotitoli, poiché per la maggior parte del tempo la lingua usata nelle conversazioni è l’inglese. I dialoghi sono banali e cadono spesso nel cliché, facendo ad esempio riferimenti a “pasta e mafia” per l’italianità. Anche lo sviluppo della storia lascia a desiderare, di fatto, non decolla. L’unica nota positiva è il flashback su Paul e Matt, che mostra come si sono conosciuti e innamorati. Le dinamiche tra i personaggi rimangono statiche, tutti si innamorano di tutti, ma ogni rapporto rimane invariato.

La regia di Muccino è morbida, leggera, accompagna i personaggi mostrando luoghi bellissimi come New Orleans, Cuba, incorniciandoli nella pellicola, come se fosse un documentario sul viaggio. Il tutto accompagnato dalle musiche firmate da Lorenzo Jovanotti, che con il suo brano “L’estate addosso”, dà il titolo al film.

La recitazione di Pacitto è un po’ incerta, forse a causa dei dialoghi che di certo, non aiutano. Risulta essere il personaggio più complicato tra tutti, con un prologo tutto suo, che lo rende ancora più ostico. Un po’ meglio per la Lutz, che rientra perfettamente nel ruolo di ragazza borghese pronta a criticare una relazione omosessuale, ma che in poco tempo si ritrova ad amare lo stesso ragazzo gay che disprezzava, ballando sui tavoli di una discoteca insieme ad alcune ragazze lesbiche. A livelli superiori Frey e Haro, che mostrano maggiore disinvoltura e bravura nella parte, più complessa e interessante, di due ragazzi gay che vivono insieme, lavorano e si interfacciano con due adolescenti che li influenzano in qualche modo.

Visione deludente, con una morale ancora più triste. Muccino decide di mostrare l’estate che vivono due adolescenti che dovranno decidere del loro futuro, la felicità di quei momenti e tutta l’intensità che ne consegue. Ma non rimane “addosso” per sempre, in quanto i protagonisti prenderanno strade diverse e non si rivedranno mai più. Punto di vista molto edulcorato che non va in profondità, per un’estate che sarebbe stato meglio definire, sempre con le parole di Jovanotti, un lungo e indimenticabile “battito di ciglia”.

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