Uno degli aspetti più intriganti delle mostre collettive è la possibilità di poter osservare come la personalità degli autori, le tecniche ed i colori utilizzati, possano influire nella produzione delle opere nell’arte contemporanea.

In questo senso si suggerisce la mostra “Forma&Percezione” che si tiene nell’area archeologica Stadio di Domiziano, (alle spalle di Piazza Navona), in via di Tor Sanguigna 3, visitabile fino al 28 febbraio tutti i giorni dalle 10,00 alle 19,00.

In essa sono presenti 14 artisti, alcuni sono italiani, altri provengono da diversi Paesi esteri: Guatemala, Brasile, Polonia, Belgio. Nel corso del vernissage abbiamo chiesto alla curatrice, Monica Ferrarini, quale sia l’oggetto della mostra. “Il tema, come suggerisce il titolo, è la capacità dell’artista di cercare di intuire e dare corpo a quelli che sono gli aspetti più celati, nascosti della realtà. Essa è filtrata attraverso la propria ricerca personale e trasposta nell’opera con la combinazione dei colori, l’uso di una data tecnica, per tentare di palesare l’anima della realtà. Quest’ultima, a ben guardarla, può essere accostata ad una tavolozza infinita di colori che l’artista intende trarre fuori come la luce che attraversa il prisma.

Quali sono le peculiarità degli scultori presenti alla collettiva? Nella prima sala della mostra vi sono le installazioni di Piero Roca che hanno un sapore provocatorio perché unisce temi sociali ad una sottile vena ironica. Egli ha creato in maniera simpatica l’euroconvertitore utilizzando, tra i materiali, anche l’attrezzo per fare  la passata di pomodoro. Vi è la sperimentazione della materia con lo scultore calabrese Francesco Fai che gioca con la luce, la preziosità del legno ed il marmo. Un altro scultore, Roberto Servi, espone opere narrative, cioè sono sculture che raccontano una storia con il legno d’ulivo.

Gli altri 11 pittori che espongono alla mostra, a quale genere appartengono? Gli altri artisti hanno posto l’accento sull’astrazione, sulla pittura emozionale, giocano con il figurativo. Vi sono le opere di Gianfranco D’Andrea, tra cui una che è un omaggio ad un’artista prematuramente scomparso, Paolo Picozza. Sono raffigurati, sulle tele, gli alberi di Franco Mauroni, il quale ha giocato con la materialità dei colori. Essi sono molto in rilievo, sembrano quasi uscire fuori dai quadri analogamente alla corteccia del sughero rispetto all’albero. Ricordo anche l’artista polacco Robert Kuzbinski, il quale con pochi tratti riesce a dare l’idea della figurazione per poi spaziare nell’astrazione in modo del tutto personale. Tra le donne vi è Febe (Fabiola Frusone), la quale ha dipinto astratti molto eleganti, raffinati. Un’artista particolare è Elisabetta Giovanniello, un’arteterapeuta che conosce bene i colori e i suoi effetti sul visitatore. Ella espone dei quadri in cui si diverte molto a giocare sia con le forme, sia con il colore che imprime sulla tela. Con quest’ultima instaura un rapporto molto viscerale, quasi carnale. Nella seconda sala della mostra sono esposte le opere di Marta Reyes, un’artista guatemalteca, le sue opere sono energetiche, richiamano i colori forti della sua terra.

Successivamente possono essere apprezzati gli acquerelli di Bruna Milani, la tematica principale delle sue opere è il fascino del mondo celeste grazie a cui riesce a cogliere gli elementi più affascinanti per trasporli sulla carta o sulla tela. Da non dimenticare anche le opere di Elio Atte, un artista il cui stile è al limite tra la figurazione e l’astratto, gioca sul colore puro, vivo, dirompente. Lungo il filone dell’astratto si pone anche Elena Marra, i suoi “paesaggi dell’anima” le hanno meritato anche riconoscimenti da critici famosi come Vittorio Sgarbi. Sono dipinti che evidenziano come un artista possa trasferire sulla tela la sua interiorità e travolgere anche gli aspetti più naturali e semplici per diventare quasi astratti. Di rilievo sono anche i quadri dell’artista belga Concetta Masciullo, uno delle sue tele dal titolo “Le silence” è stato anch’essa premiata da Vittorio Sgarbi durante un’esposizione ad Edimburgo. Il genere stilistico è l’astratto, eseguito in maniera sapiente, le sue opere sono equilibrate e consapevoli.

Concludo illustrando le opere di Catia Beatrice che sono molto introspettive. Tutta la sua produzione gioca su questo tema e sulla sua capacità di saper intravedere gli aspetti più intimi della realtà. Apparentemente sembrano esservi varie figure che animano le tele ma, a ben guardare, esse sono un’unica figura che si riproduce a vari livelli, una sorta di occhio vigile che controlla il tutto.